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«Riforma necessaria. I conti non tornano»

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I sindacati fermi sulla linea dura. Il 6 dicembre marcia su Roma e forse nuovo sciopero generale

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E Berlusconi conferma: «La riforma è necessaria perché i conti non tornano e il sistema non può reggere a lungo». Ma i sindacati non ci stanno e preparano un nuovo sciopero generale. È questa la sintesi di un'altra giornata ad alta tensione sul fronte pensioni. E oggi al Senato, il ministro del Lavoro, Roberto Maroni, illustrerà l'emendamento alla legge delega sulle pensioni, che era stato depositato lunedì alla Commissione Lavoro di Palazzo Madama. Sono così caduti nel vuoto gli inviti di Cgil, Cisl e Uil a ritirare la proposta per far partire una vera trattativa. Berlusconi risponde chiarendo che «un governo che voglia essere responsabile deve pensare non solo al presente ma anche al futuro. E per garantire il futuro ai nostri giovani è indispensabile modificare ora il sistema delle pensioni». Il presidente del Consiglio conferma una disponibilità generica al dialogo con i sindacati «per accogliere eventuali miglioramenti» ma si è detto indisponibile «a far finta di nulla ed a lasciare le cose come stanno oggi». Berlusconi respinge le accuse rivolte al governo di minare la pace sociale: «La prima pace, quella duratura, deve essere pace tra generazioni, tra padri e figli». Il premier quindi lancia messaggi tranquillizzanti: «Ci sono in giro troppe voci allarmistiche: nessun diritto acquisito sarà toccato da questa riforma, che partirà dal 2008 e non toglierà niente, ma darà a tutti più certezze». Maroni spieghera oggi che la novità principale è che, a partire dal 2008, per andare in pensione i lavoratori dovranno aver maturato almeno 40 anni di contributi (invece dei 35 attuali) o raggiunto il limite di età di 65 anni (60 per le donne). Nel periodo transitorio, ossia fino a tutto il 2007, quei lavoratori dipendenti che abbiano raggiunto i requisiti minimi per la pensione d'anzianità potranno restare al proprio posto, ricevendo un aumento di stipendio del 32,7%, di cui il 30% andrà a loro e il 2, 7% all'azienda. Per i lavori usuranti e per le lavoratrici madri si prospettano norme apposite, non ancora messe a punto: il governo ha intenzione di farlo entro 18 mesi dall'entrata in vigore della legge, emanando uno o più decreti «d'intesa con le parti sociali» con norme finalizzate a «tenere conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività». Sono previsti contributi a carico delle "pensioni d'oro". Ma il governo trova a che una critica interna. Quella del presidente della Commissione parlamentare di controllo sugli enti di previdenza, Francesco Amoruso, che si dichiara contrario all'estensione delle misure dell'emendamento alla riforma del sistema previdenziale anche alle casse di previdenza privatizzate. L'esigenza della riforma riguarda però sostanzialmente il settore pubblico e non quello privatizzato delle professioni che, salvo casi particolari su cui pure necessitano verifiche approfondite, sul piano della sostenibilità sta dando buoni risultati di gestione». Ma resta l'incomunicabilità con i sindacati che non escludono un nuovo sciopero generale sulle pensioni e annunciano per il 6 dicembre una manifestazione sui temi dello sviluppo, dei diritti e in difesa dello stato sociale, a partire proprio dalla previdenza. Il dialogo tra sordi continua a svolgersi secondo i recenti canoni. «È una vera e propria controriforma, l'emendamento è sbagliato ed è tecnicamente irrealizzabile» ripete il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Per Savino Pezzotta, numero uno della Cisl, la riforma approvata dal governo «toglie sia ai padri che ai figli e non sta in piedi nè dal punto di vista congiunturale nè da un punto di vista sociale». Pezzotta ribadisce che, a suo giudizio, la verifica sulla riforma va fatta nel 2005, come previsto dalla riforma Dini. A confermare la ritrovata unità sindacale, almeno su questo tema, è stato Luigi Angeletti: per il segretario generale della Uil «con questa riforma non c'è nulla da discutere: il governo deve dire che è disposto a rimettere in discussione ciò che ha deciso, alt

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