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PETROLIO: VERTICE A VIENNA

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L'Opec si prepara a ridurre la produzione

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Gli undici Paesi membri dell'Organizzazione saranno chiamati a decidere sulla necessità di ridurre l'attuale livello di produzione al fine di evitare nuovi cali del prezzo del petrolio. L'Opec, prima dello scoppio della guerra contro Saddam Hussein, aveva infatti accettato di aumentare di 1,8 milioni di barili la propria produzione giornaliera, al di sopra del tetto auto imposto di 24,5 milioni di barili. In questo modo, si è cercato di supplire alla mancanza di petrolio iracheno e di porre un freno ai timori relativi ad una carenza di fonti energetiche; timori che iniziavano già a trascinare verso il basso le borse di tutto il mondo. La concomitanza di una serie di fattori fortunati ha però reso inutile, e forse dannoso, lo sforzo produttivo dell'Opec. Lo scoppio della guerra in concomitanza dell'arrivo della stagione calda, la decisione degli iracheni di non incendiare i pozzi petroliferi e la fine dello sciopero in Venezuela hanno infatti convinto il mondo intero che il calo del flusso del greggio dal Medio Oriente non avrebbe avuto alcun impatto sull'economia. Come risultato, il prezzo del paniere Opec è sceso del 23% in poco più di un mese, destando nuove preoccupazioni fra gli Stati dell'organizzazione. A questo punto appare inevitabile una nuova delibera dell'Opec che riduca drasticamente il livello di produzione, in modo da eliminare l'attuale eccesso di offerta e mantenere il prezzo del greggio a circa 25 dollari al barile. Ma se su questa posizione tutti i Paesi sono d'accordo, l'entità della riduzione crea alcune divergenze all'interno dei membri dell'organizzazione. Da un lato l'Iran preme per un calo dell'output di almeno 2 milioni di barili al giorno; dall'altro l'Arabia Saudita e l'Algeria chiedono un semplice ritorno alla quota massima di 24,5 milioni di barili, passando però per un più rigido rispetto delle quote di produzione pro-capite assegnate ad ogni Paese presente nel gruppo. La seconda opzione, sottolineano gli esperti, ha il vantaggio di evitare bruschi scossoni al mercato del greggio in un momento particolarmente delicato come questo, in cui mancano ancora notizie certe dall'Iraq. Perchè è ovvio che il nodo del contendere passi attraverso la questione irachena, ancora molto lontana dall'essere risolta. Se infatti la produzione presso alcuni pozzi nel sud del Paese è già ricominciata, tra l'altro in netto anticipo sui tempi, nessuno può sapere chi sarà a capo del Governo di Baghdad fra una settimana o un mese.

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