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Tagadà, Sgarbi si candida. Il botta e risposta tra Gomez e Bechis: "Che razza di messaggio"

Luca De Lellis
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“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”. Ecco, Antonello Venditti scrivendo questa riga forse non si riferiva propriamente al rapporto tra Giorgia Meloni e Vittorio Sgarbi. Era solo il 9 febbraio scorso quando il critico d’arte si dimetteva dal suo ruolo di sottosegretario alla Cultura, in seguito a una serie di inchieste giornalistiche su alcune sue consulenze considerate dall’Antitrust come attività «incompatibili» con la carica che ricopriva nel governo. Ora, a poco più di due mesi dalle dimissioni, arriva la notizia della candidatura di Sgarbi con Fratelli d’Italia per le prossime elezioni europee su idea «dei vertici del partito», come lui stesso ha ammesso nell’intervista rilasciata all’Ansa. Un imbufalito Peter Gomez, durante la puntata di Tagadà in onda su La7, si è espresso sulla vicenda attaccando il Premier Meloni per una scelta a suo dire malsana, aprendo anche un dibattito acceso con Franco Bechis, direttore del quotidiano online Open. 

 

 

«Da alcuni retroscena politici abbiamo appreso come la Meloni, quando lo convinse a dare le dimissioni a febbraio, gli garantì in cambio una candidatura alle Europee», ha premesso il primo. Che poi ne ha fatto una questione di opportunità politica: «Sgarbi è innocente fino a prova contraria per i procedimenti in corso (sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte relativo al caso del quadro comprato a un’asta del 2020, oltre a un’inchiesta della Procura di Macerata per riciclaggio di beni culturali, ndr), però è un pregiudicato da anni per truffa ai danni dello Stato. Il caso Sgarbi ha fatto il giro del mondo, e il rischio per FdI è che non sia un bel biglietto da visita, anche se sappiamo che il partito prenderà un sacco di voti». Anche per l’altro ospite dello studio condotto da Tiziana Panella, Franco Bechis, «Sgarbi rappresenta un rischio per Meloni, ma più in quanto Sgarbi che per i suoi processi». Infatti, il parere del direttore di Open è che fin quando «non si arriva a sentenza definitiva, con il terzo grado di giudizio, la candidabilità c’è visto che la legge prevede quello». 

 

 

A quel punto Gomez non ci vede più, e sbotta: «Non te lo ordina il dottore di fare politica. Se tu chiedi ai cittadini comportamenti esemplari, poi tra 100mila persone che puoi candidare ti prendi il rischio di accogliere uno che potrebbe nei prossimi anni essere un condannato definitivo». Arriva quindi l’attacco a FdI: «Che razza di messaggio mandi agli italiani? Sarebbe un partito legge e ordine questo?». Bechis in parte lo contraddice: «Le liste sono piene di gente che per la gran parte sai che non verrà eletta al Parlamento europeo, ma siamo in un’elezione la cui preferenza dei cittadini conta, quindi loro hanno l’arma in mano. Se decidono di votare Sgarbi è perché per loro quelle vicende non sono tanto importanti». Gomez chiosa polemizzando: «I partiti non hanno solo il compito di prendere voti, ma anche di guidare bene il Paese cercando di dare un buon esempio con i loro comportamenti». A ogni modo, Sgarbi ha già promesso dei voti e spera di correre nel Nord-Est, dove nel 1999 riscosse un ottimo successo. Non resta che stare a guardare, allora, se la storia si ripeterà.

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