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Intervista a Stefano Bandecchi: “Ora punto a guidare l'Italia con un Centro forte”

Riccardo Mazzoni
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Da livornese, ha conquistato Terni, ma politicamente parlando ha in mente un’opa che pare un crescendo rossiniano, passando dalle regionali in Umbria e poi dalle politiche 2027, con destinazione Roma. Stefano Bandecchi si autodefinisce un imprenditore poliedrico, uno che, come si diceva un tempo, si è fatto da sé, ed è piombato in politica come un meteorite che in molti già sperano si trasformi in meteora, magari con l’aiutino di un’inchiesta giudiziaria. Ma il personaggio è tutt’altro che sprovveduto: nel suo grande ufficio di Palazzo Spada, sotto gli affreschi cinquecenteschi, sembra quasi un leone in gabbia, o se volete un elefante nella cristalleria. Un Peppone sanguigno di guareschiana memoria, insomma, che però giudica le ideologie inutili armamentari e non disdegna le faide di paese, parlando dritto alla pancia e al cuore della gente, rifuggendo le consunte liturgie del politichese. I suoi trascorsi da presidente della Ternana, e i burrascosi rapporti con la tifoseria (e con i giornalisti), ne farebbero un perfetto personaggio della Cavalleria rusticana, o uno dei Rusteghi di Goldoni, ma sarebbe un errore fermarsi all’apparenza, perché dietro l’usbergo del burbero c’è stoffa e anche sostanza. In politica sarà anche un parvenu, ma a Terni ha compiuto un piccolo capolavoro: si è messo a capo di tre liste civiche essendo il coordinatore nazionale di un partito, Alternativa Popolare, che naufragò con Alfano, ma lui conta di farne una navicella pirata per rigenerare il mare morto del Centro moderato. Non a caso si è scelto come alleata la lista «Noi Moderati», anche se nel menù bandecchiano ha trovato posto l’Italexit locale, non certo un partito centrista, ma per vincere si fa questo e altro. Ma è inutile andare troppo per il sottile: agli archivi resta che Bandecchi è stato l’unico candidato sindaco a vincere in uno dei tredici capoluoghi al voto senza il supporto dei grandi partiti: destra o sinistra per lui pari sono, ossia avversari da battere, ieri a Terni, domani a Perugia, dopodomani a Roma.

Alla vigilia nessuno ci avrebbe scommesso un centesimo bucato, ma in realtà il neosindaco si è mosso da maestro in campagna elettorale, e aveva iniziato la sua semina elettorale facendo di Terni la sua città elettiva fino dal 2017. Il suo gioiello è stato Unicusano, l’ateneo privato che edita anche una radio e una televisione, dove la sua rubrica «L’imprenditore e gli altri» lo ha fatto diventare un personaggio a tutto tondo e un polemista da prima serata che sfondava lo schermo. Il mix fra rude pragmatismo e arte oratoria consapevolmente aggressiva ha funzionato alla perfezione nell’immaginario collettivo, diventando il trampolino di lancio per varcare la frontiera politica. E parlandoci si intuisce che la politica l’ha masticata molto, pure da lontano: ha finanziato - lecitamente - quasi tutto l’arco costituzionale, anche se il suo passato da parà della Folgore gli aveva appiccicato addosso l’etichetta di destra e l’unica candidatura precedente (senza essere eletto) fu nelle liste di Forza Italia alle regionali del Lazio nel 2005. Di Berlusconi era un ammiratore, e con gusto dell’iperbole gli consigliò di sciogliere Forza Italia, liberarsi dei cattivi consiglieri e confluire in Alternativa Popolare. Nell’intervista non lo ha mai detto, ma che si senta un po’ il nuovo Berlusconi lo ha fatto capire eccome. «Mio padre era un camionista comunista, mia madre una massaia, io oggi mi sento un centrista riformista», è stato il suo refrain in campagna elettorale. È stato negli anni dei lockdown che è veramente entrato nel cuore di Terni, mettendo in campo molte iniziative solidali, con discrezione pari alla generosità. Poi il ritorno trionfale della Ternana in serie B gli è valso, un anno fa, la cittadinanza onoraria, e con l’acquisizione di Interpan, storica fabbrica alle porte di Terni, Bandecchi ha salvato quasi cento posti di lavoro, una sorta di consacrazione in una città storicamente operaia disillusa dalla sinistra. L’intervista che segue, iniziata con molta curiosità e con qualche preconcetto, ha riservato diverse sorprese, sospesa tra analisi lucide e pragmatismo alternato a voli pindarici, anche se nella politica col barometro fisso sul variabile è forse lecito anche sognare il salto da Palazzo Spada a Palazzo Chigi.

 

 

Sindaco Bandecchi, partiamo da un argomento scomodo: lei da imprenditore ha sempre mostrato coraggio, e non mi sembra un sindaco che ha paura della firma. Vado dritto al punto: è giusto abolire l'abuso d'ufficio?
«La domanda è posta in modo molto intelligente. Per quanto mi riguarda l’abuso d’ufficio potrebbe anche restare, nel senso che io non ho intenzione di fare nulla di illecito perché per fare il sindaco ci rimetto 385mila euro al mese, quindi se mi permette sono abbastanza scevro da problemi che potrebbero vedermi coinvolto. Farò solo le cose giuste. Certamente però l'abuso d'ufficio in questo momento è mal usato dalla magistratura».

Cioè, in cosa sbaglia la magistratura?
«Il problema non è come la politica deve essere controllata: il problema è chi controlla la politica. Oggi in Italia c'è un problema di sbilanciamento. Le ricordo che Tangentopoli sembrava il dramma del secolo, ma era un dramma voluto dagli italiani perché Tangentopoli l'hanno inventata gli italiani con la loro ipocrisia. E le spiego pure l’ipocrisia: la politica non ha soldi per finanziarsi, ma nonostante questo il denaro pubblico non va più alla politica. Le ricordo che solo nei Paesi sottosviluppati il denaro pubblico non va alla politica, e solo nei Paesi più ricchi la politica è finanziata dai privati. Allora bisognerebbe fare un discorso molto ampio e io le dico che per me la politica va finanziata con i soldi pubblici, altrimenti sarà la grande l'impresa a comandare e la politica sarà sempre schiava di qualcuno. Da qui consegue il secondo passaggio, cioè il ripristino dell’immunità parlamentare, che per chi fa politica è fondamentale, perché senza di essa i rappresentanti del popolo saranno sempre nelle mani della magistratura. Se poi uno viene colto in flagranza di reato sarà comunque arrestato. Ma la mia libertà di espressione si deve riconfermare anche nella libertà di azione».

È favorevole alla separazione delle carriere, altra faglia che divide attualmente governo e magistratura?
«La separazione delle carriere tra giudici e pm è giustissima, ma prima - ripeto - viene l’immunità parlamentare: la magistratura non deve toccare la politica e la politica non deve toccare la magistratura, devono camminare come due binari affiancati. Ma se la politica ha paura di ripristinare l'immunità parlamentare, non ci sarà mai politica in Italia e la magistratura comanderà sempre questa nazione. Mi chiedo cosa aspetti la politica a rinsavire: si è tolta il finanziamento pubblico, si è tolta l’immunità e ha tagliato i parlamentari, come se gli onorevoli fossero un disonore per la democrazia. Mentre i magistrati condannati continuano a lavorare…».

 

 

Lei ha detto: parto da Terni per arrivare prima a Perugia e poi a Roma: non le sembra un salto mortale?
«Confermo: punto a Roma perché voglio candidarmi come presidente del consiglio e governare per cinque anni».

Con quale schieramento?
«Con Alternativa popolare. Io credo fortemente in uno schieramento di centro-centro, non penso che esista in natura un centro nel centrosinistra: destra e sinistra per il centro sono sanguisughe destinate a succhiarlo e farlo sparire, perché si tratta di schieramenti ideologici molto caratterizzati. In Italia esistono solo l’estrema destra e l’estrema sinistra, e il centro è solo un'invenzione da quando è fallita la Democrazia Cristiana, cioè da quando Tangentopoli lo ha distrutto».

Quindi lei vuol rifondare il centro…
«Io sono un liberale-repubblicano-socialdemocratico: punto. Io sono un pentapartito vivente e il mio pentapartito oggi sta in Alternativa popolare, che punta a riunire i moderati di centro e i moderati di destra. Io in cinque anni cerco di ricreare un centro forte, in grado di superare il 25%».

Quello che a Calenda e Renzi non sta riuscendo…
«Renzi era un ottimo politico ma si è messo a fare l'imprenditore e si è scordato la politica, facendo un percorso inverso al mio. Calenda invece non ha lo spessore per poter fare il leader, ma purtroppo per lui non lo capirà mai».

È vero che sarebbe disposto a portare il nucleare in Umbria?
«Certo, in Italia c’è molta ipocrisia sul nucleare: di fatto lo abbiamo già a pochi chilometri dai nostri confini, in Svizzera e in Francia. Non solo: noi possiamo contare su aziende che esportano le nostre tecnologie in tutto il mondo e ancora oggi continuano a costruire centrali all’estero. Le micro-centrali nucleari di ultima generazione offrono ampie garanzie di sicurezza e non impattano sull’ambiente: dobbiamo essere consapevoli che senza nucleare non saremo mai autonomi dal punto di vista energetico. È vero che le energie rinnovabili sono una grande risorsa, e dobbiamo ricordarci di essere circondati dal mare: siamo una penisola e ormai, come insegna il Portogallo, ci sono tecnologie che riescono a sfruttare le onde marine fino a un'altezza media di venti centimetri: ciò significa che i movimenti marini potrebbero essere utilizzati per creare energia. L’Italia questa risorsa l’ha molto sottovalutata, ma andrebbe riconsiderata: energia rinnovabile marina, eolico ed energia solare potrebbero anche riuscire a produrre l’idrogeno sufficiente a far funzionare i nostri trasporti pesanti. Quindi in Italia potremmo sfruttare le risorse bio-verdi per produrre idrogeno. Senza dimenticare le biomasse, limitate per motivi più politici che reali».

 

 

Vedo che è anche un esperto di energia…
«Sì, ma non ho certo la facoltà di indirizzare la politica energetica italiana…».

Lo capisco: da sindaco comunque il daffare non le mancherà. Buon lavoro.
«Buon lavoro a lei, e mi raccomando: scriva che non l’ho picchiata…»

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