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Mogol svela la verità su Lucio Battisti e la politica. Cos'erano le braccia tese

Valentina Bertoli
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Mogol e Lucio Battisti come il sale e il pepe: reciprocamente necessari. Un paroliere e un cantautore destinati a formare un sodalizio artistico memorabile e a cambiare la storia della musica italiana. In previsione di quello che sarebbe stato l’80esimo compleanno del cantante, oggi è il produttore discografico a narrare il loro primo, fortunato incontro al Corriere della Sera. Contro ogni aspettativa, Mogol ammette con sincerità: “All’inizio non mi sembrava un granché. Non avevo intuito nulla”. Quindi affronta il delicato tema del rapporto tra i loro brani e la politica: “Non scrivevamo per il comunismo”. Sui “boschi di braccia tese” del pezzo “La collina dei ciliegi” aggiunge: “Volevano darmi del fascista”.

Non si può parlare del rivoluzionario Lucio Battisti se non citando Giulio Rapetti Mogol e viceversa. Pensavamo che sul cantautore di Poggio Bustone fosse stato detto e scritto tutto. E invece non è così. Mentre si avvicina l’anniversario di quello che sarebbe stato l’80esimo compleanno di Battisti, nato il 5 marzo 1943, è Mogol a rilasciare una preziosa intervista al Corriere della Sera. Aneddoti, rivelazioni e scomode verità: tutto emerge con naturalezza e maestria. “Ci fece conoscere Christine Leroux, direttrice di una casa di edizioni musicali che aveva fatto un contratto a Lucio. Lui mi fece sentire due canzoni. "Non mi sembrano un granché", dissi. E lui "In effetti...sono d’accordo". Era semplice e umile, sorrise nonostante la batosta. Per non sentirmi un verme miserabile gli proposi di vederci per provare a fare qualcosa insieme. Nacquero "Dolce di giorno" e "Per una lira". Farei bella figura a dirlo, ma non avevo intuito nulla”: il produttore discografico esordisce in tutta onestà.

 

 

 

Un ragazzo alle prime armi ma carico di talento e sorprendenti doti, così si sarebbe presto rivelato il grande Battisti. Mogol continua: “Era moderno. Non cantava per far sentire la voce, ma per comunicare qualcosa. Lui era un matematico. Studiava sette ore al giorno le canzoni dei più grandi artisti mondiali. Io ero la parte letteraria, mi chiamava "il poeta". Ho sempre scritto le parole dopo la musica perché credo che ogni frase musicale abbia già un suo senso”. Poi torna indietro nel tempo e ricorda le dinamiche del fruttuoso metodo di lavoro: “Ci trovavamo tutte le mattine nella mia villa di campagna a Molteno. Io preparavo il primo caffè per accoglierlo, lui quelli successivi. Lucio stava sul divano con la chitarra, io sul tappeto con carta e penna. Lavoravamo un’ora e nasceva una canzone al giorno. Il primo ascolto era riservato a un amico giardiniere”.

Sul brano “Il mio canto libero” dice: “Racconta di un mio nuovo amore dopo il divorzio. Allora non era cosa comune e infatti inizia con "in un mondo che non ci vuole più". Questo dettaglio dà il la a Mogol che, senza lasciare intuire la portata dell’affermazione, si sposta sull’argomento del legame tra i testi di celebri canzoni e la politica. I “boschi di braccia tese”, nominati nel pezzo “La collina dei ciliegi”, vennero interpretati come una folla di persone che fanno il saluto romano. Il paroliere, senza tergiversare, dice: “Quelle braccia non erano un simbolo politico. Lo hanno detto anche per quelle della copertina di "Il mio canto libero". Ma sono braccia con i palmi aperti come per un’invocazione al signore. Volevano darmi del fascista perché non facevo canzoni impegnate. Non ho mai sentito Lucio parlare di politica: semplicemente non scrivevamo canzoni per il comunismo. Però i dischi di Lucio vennero trovati nel covo delle Br: è un fatto storico". Sul rifiuto delle mode, Mogol afferma: “Era una risposta al clima di allora. Uno come me rischiava...si sparava. Si arrivò a fare un processo pubblico a De Gregori, uno da pugno alzato, perché guadagnava facendo il cantante. Per evitare gli insulti consigliai a Lucio di non fare più concerti”. Poi, in conclusione, saluta il compagno di grandi avventure: “Lucio sta' tranquillo, che tra un po’ staremo di nuovo insieme...Ho 86 anni...”.

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