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Scontri a Firenze, il deputato Marco Furfaro pubblica la foto dei presunti colpevoli

Christian Campigli
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La violenza è l'antitesi della politica. La prima porta automaticamente all'estinzione della seconda. Un concetto basilare, ma che, evidentemente, a Firenze ancora non riesce a essere compreso da tutti. La scazzottata di fronte al liceo classico Michelangiolo, tra gruppi di sinistra e attivisti di destra, non può che essere giudicata per quello che è: un atto stupido, ingiustificabile, che deve essere fermamente condannato. Ma da entrambe le parti. Perché più passano le ore, più quella che la sinistra da salotto, che abita nelle ville in collina e d'estate si ritrova a Capalbio, aveva bollato come "l'ennesimo episodio di squadrismo fascista" si sta, piano piano, trasformando in una cruenta (e stupida) cavalleria rusticana tra adolescenti. Sia chiaro, nessuna giustificazione. Chi ha commesso dei reati, se ce ne sono, dovrà essere condannato. Ma da un giudice togato. Non da qualche prezzolato intellettuale progressista.

In queste ore convulse,  durante le quali la sinistra ha manifestato la volontà chiara non di giungere alla verità ma di colpire Giorgia Meloni, Fratelli d'Italia e tutto l'universo conservatore, abbiamo assistito anche a un deputato pistoiese, Marco Furfaro, eletto nelle liste del Partito Democratico, che ha postato su Twitter una foto. Nella quale, senza nessun pixellaggio (ovvero quella tecnica con la quale si possono oscurare i volti delle persone presenti nell'istantanea), espone in bella mostra il viso dei presunti colpevoli. Presunti, appunto. Perché al momento non c'è nemmeno un avviso di garanzia. Invece il deputato, ignaro che alcuni di quei ragazzi sono minorenni, li espone al pubblico giudizio. E magari a qualche azione ritorsiva dei gruppi di estrema sinistra presenti nel capoluogo toscano. Insomma, un clamoroso autogol. Che ha spaventato, e non poco, i genitori di questi adolescenti. Che magari hanno sbagliato, magari hanno commesso anche uno o più reati ma che hanno il sacrosanto diritto di essere giudicati da un tribunale della Repubblica Italiana. E non da una giuria di tromboni progressisti. 
 

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