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Brescia, uomo si impianta i microchip. Paragone lo azzera: “Non ha nulla di moderno”

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Gianluigi Paragone
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In questi giorni leggo di un tale Mattia, 35enne di Brescia, professione informatico che si è impiantato cinque chip nelle mani. Perché lo ha fatto? A leggere le interviste che rilascia la sintesi è: per essere più pratico nella gestione dei suoi dati. Afferma di non essere un cyborg ma di aver «semplicemente bio-hackerato il suo corpo». Noi comuni mortali parliamo meno complicato di Mattia e soprattutto non ci sogneremo mai di infilarci nelle dita dei sensori per vivere in una strana dimensione moderna. Credo di essere stato tra i primi a documentare con la mia trasmissione La Gabbia questa tendenza: nel maggio del 2017 (lo trovate ancora in rete) raccontammo dei microchip infilati sotto pelle. Intervistato dal Corriere tv Mattia spiega i… vantaggi. Il primo chip che si è fatto siringare ha doppia funzione: «può essere utilizzato per programmare il telefono o scambiare contatti; e poi per aprire porte o per essere usato come badge per andare al lavoro. Utilissimo per chi, come me, lo dimenticava ogni giorno». Il corpo come promemoria insomma. «Il secondo chip che ho inserito consente un’autenticazione a due fattori. In parole semplici, è come una password aggiuntiva per l’accesso alle applicazioni o ai siti web. Poi è stato il turno di un chip a led ed, infine, un magnete».

 

 

Quando ero piccolo usavo il coltellino svizzero nelle uscite scout e lo trovavo molto interessante, alla bisogna. Pensare di trasformare il mio corpo in una specie di coltellino svizzero, no. Ma, battute a parte, quello che rischiamo di sottovalutare è l’idea di progresso cui ci spingono più o meno consapevolmente. Il corpo diventa sempre più una funzione per fare ciò che la tecnologia mette al centro della vita: i dati. Mattia e quelli come lui ritengono il corpo umano e il cervello non sufficienti per affrontate le sfide della vera modernità e del vero progresso, perciò ripiegano sui chip, sull’uso dell’intelligenza artificiale e quant’altro. Leggo di continue applicazioni di sensori in ogni dove, sia negli spazi delle nostre città sia negli spazi della natura. Ci stiamo imbottendo di sensori, chip, microfoni: per fare cosa? Qual è il vero senso di questa sorveglianza venduta come modernità?

 

 

Marc Augé, il filosofo recentemente scomparso, ci ha spiegato i «non-luoghi» e il «non tempo»; Zygmunt Bauman la «liquidità» delle società: varrebbe la pena rileggere i loro scritti. Oggi siamo entrati nella frontiera del «non uomo», altro che Nuovo Umanesimo. Il mondo rischia di appartenere sempre più a chi lo indirizza sulle frontiere del Meta, dell’Oltre. In uno spazio dove basterà esistere, come umani o come umanoidi. Almeno fino a quando la nostra hybris, la nostra tracotanza, sarà punita.

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