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Meteo, catastrofismi climatici infondati: giovani meteopatici e ministri che piangono

Cicisbeo
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I ministri che piangono sono una novità della seconda repubblica e per fortuna anche una rarità: quando la Fornero fu sul punto di singhiozzare perché costretta a tagliare le pensioni, fu un esempio di scuola di «chiagne e fotte», e così in effetti è passato alla storia. Più controverso invece, il caso di Pichetto Fratin, che al Festival Giffoni si è commosso davanti a una ragazza che gli esternava la sua ecoansia per le sorti del mondo, per la Sicilia che brucia, per il clima che cambia, un combinato disposto di disastri alle porte, e invece di risponderle con la forza della ragione si è lasciato travolgere da un impeto sentimentalistico molto poco ministeriale. Sappia, Piagnetto Fratin, che sarà questa l’unica probabile traccia che rimarrà del suo passaggio nel governo della Repubblica, e ben gli starà. Ma questo episodio è significativo del clima – e non parlo di quello meteorologico – in cui siamo immersi dalla mattina alla sera, tra giornali, social e tv che ci bombardano di allarmi sempre più angoscianti, al cui confronto l’Apocalisse di Giovanni («Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo si fece silenzio nel cielo…») sembra un romanzetto rosa.

 

 

Io finora di «eco» conoscevo solo le ecoballe, che da contenitori di rifiuti solidi urbani nella mia testa stanno diventando altro, ovvero eco-balle nel senso di fandonie che per la famosa eterogenesi dei fini alimentano l’ecoansia, neologismo che ha trovato già posto anche nella Treccani: «Profonda sensazione di disagio e di paura che si prova al pensiero ricorrente di possibili disastri legati al riscaldamento globale e ai suoi effetti ambientali» oltre che «senso di colpa e depressione suscitate dal pensiero del cambiamento climatico». Un fenomeno che colpisce soprattutto i millennials, che prima di imparare a vivere pretendono di insegnarci a vivere, accusando le nostre generazioni di aver rovinato il mondo invece di ringraziarci per avergli aperto nuove frontiere del progresso. Dall’avvento di Greta Thunberg in poi ne ho lette di tutti i colori, come se questi ragazzi nati con gli smartphone in culla fossero degli eroi romantici, e questa me la sono segnata: «Le loro voci si snodano come foglie fino alle radici, restituendo un albero di pensieri. Ogni foglia o radice riflette una riflessione di senso, ma ascoltate una dopo l'altra restituiscono un quadro complessivo di cosa passa per la mente ai ragazzi che a vent’anni sentono il destino del mondo sulle proprie spalle». Anche basta, direi, col catastrofismo climatico e con l’approccio assolutista ai temi ambientali: una coscienza ecologista credibile dovrebbe avere un minimo senso del limite, requisito che in tutta evidenza manca al pensiero dominante che pone obiettivi come quello di contenere l’aumento medio della temperatura entro 1,5 gradi, perché nessuno è in grado di sapere ora quale sarà la temperatura tra mezzo secolo, né quantificare l’effetto dell’evoluzione umana (quanti posti di lavoro andrebbero perduti per le follie ambientaliste?…).

 

 

Anche perché fior di scienziati negano, dati storici alla mano, che ci sia davvero una relazione di causa-effetto tra le attività dell’uomo e il riscaldamento globale, e quindi sostenere che siamo solo noi i responsabili dei cambiamenti climatici «è scientificamente infondato». Anche perché la temperatura media globale, dall’inizio dell’Ottocento a oggi, è cresciuta ogni secolo di un decimo di grado, anche molto prima dunque dell’aumento delle emissioni nocive. Per cui attribuire ogni fenomeno atmosferico al cambiamento climatico è un automatismo che fa salire l’audience di un talk-show, ma cozza con la realtà. (Piagnetto avrebbe dovuto per esempio far notare alla ragazza eco-ansiosa che se la Sicilia brucia non è colpa dei cambiamenti climatici, perché solo il 2% degli incendi boschivi ha una causa naturale, il resto è tutta opera – quasi sempre dolosa – dell’uomo). Dunque, con tutto il rispetto per i dolori dei giovani meteopatici, per questo agosto spero che si abbassi la temperatura ansiogena - quella climatica lo fa da sé ogni anno - per evitare che l’ecoansia si trasformi per noi anziani in una sempre meno sopportabile eco-orchite. Grazie.

 

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