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Emergenza caldo, è “smart” il lavoro che guarda al futuro

Mario Benedetto
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Il dibattito di cui ormai abbiamo imparato a conoscere e riconoscere i tratti tribali, in termini di contributi superficiali e divisivi, offre ultimamente qualche proposta interessante. Il confronto con la natura ed i fenomeni sociali invita l’Uomo a trovare soluzioni sensate ed evolute, accelerando il corso della storia e le conquiste «sociali» di cui ha bisogno per avanzare. Lo dimostrano due fenomeni distanti tra loro, ma accomunati dalla spinta a modernizzarci che li vede convergere sulla questione del lavoro. Dalla pandemia all’emergenza caldo, infatti, il lavoro e le condizioni dei lavoratori restano elementi centrali del confronto pubblico. La pandemia ha fortunatamente accelerato le riflessioni, ma anche le applicazioni concrete, di modalità di lavoro «smart», a tratti purtroppo confuse con il «tele» lavoro. Un progresso che ha spinto a lavorare per obiettivi, spostando maggiormente l’attenzione dai processi e ai risultati del lavoro.

 

 

Ma terminata l’emergenza ecco riaffacciarsi quell’attitudine di chi ha bisogno di vedere una persona prona su una scrivania per riconoscere che stia lavorando. Premesso che la «presenza» resta un fattore irrinunciabile, esistono mestieri, peraltro crescenti nell’era della digitalizzazione, che mostrano chiaramente l’efficacia o meno delle proprie risorse umane, presenti o «collegate» che siano, in base ai risultati che sono capaci di produrre. Sarebbe facile. Invece così si «scapperebbe» da un controllo che dei risultati rischia persino di disinteressarsi, per favorire un narcisistico esercizio di vigilanza che di produttivo, a volte, ha ben poco. Ricordo bene di aver parlato, in tempi non sospetti, della «misurabilità» del lavoro: non è vero che per certi mestieri e figure professionali non sia possibile. Il lavoro è misurabile per tutti. E deve esserlo. Basta saperlo e volerlo fare.

 

 

Ecco che la questione torna attuale con il tanto discusso «caldo», divisivo non solo rispetto alle ragioni della sua origine e alle responsabilità da ripartire tra uomo e cambiamenti climatici «naturali», ma per le conseguenze che è capace di generare proprio rispetto al lavoro. Confindustria raggruppa la nostra migliore impresa e, dunque, sa bene cosa sia la produttività e con che mezzi sia perseguibile: non è un caso che tra questi, oggi, annoveri lo smart working. Un nuovo modo d’intendere il lavoro, ma anche un paradigma «culturale» del lavoro che verrà. Che superi certi «rituali» della tradizione per farsi produttivo modello d’innovazione.

 

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