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Pnrr, che stress questa resilienza. Luci e ombre del piano europeo

Gianluigi Paragone
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Come se non fosse abbastanza la natura del fondo, cioè soldi in prestito a condizioni che un giorno capiremo, ci si è messo pure quel nome che non garantiva nulla di buono: Piano di ripresa e di resilienza. Che come tutte le mode del momento era sulla bocca di tutti: resilienza di qua, resilienza di là. Ora che i nodi cominciano ad arrivare al pettine, la prova di resilienza è persino andata oltre la prova di resistenza ed è diventata uno stress. Direi che nel miracoloso Piano ci sono più spine che ripresa, più pene che resilienza. Ed era normale: l’Italia era in ginocchio sotto il macigno dell’emergenza, così nel dubbio, visto che bastava qualche spruzzata di verde e un tocco di digitalizzazione, ci hanno provato un po’ tutti a infilarsi nel piano di Bruxelles. Finché nessuno se ne accorgeva sono andati avanti.

 

Poi però, appunto, le spine hanno cominciato a pungere e le pene ad affaticare: scarsa attinenza dei progetti; mancanza di personale in grado di firmare e mettere a terra i progetti; ritardi; rincaro dei costi delle materie prime; inflazione galoppante e avanti di questo passo. Così si è aperto il contenzioso prima all’interno dei ministeri (dove agiscono i guardiani dell’ortodossia europea senza se e senza ma), poi con Bruxelles e infine con la Corte dei Conti in nome del controllo concomitante col governo, come dire: democrazia e burocrazia hanno lo stesso peso e agiscono sullo stesso livello.
Non è difficile capire che questo teatrino è funzionale al tentativo di logorare il governo, di metterlo alle strette con le rate da pagare e con le valutazioni critiche che presto arriveranno da altri Stati cui interessa cominciare la loro campagna elettorale o contro l’Italia o contro l’avanzata dei conservatori.

 

E arriviamo al punto. Al netto di alcune valutazioni critiche che pur ci sono e vanno fatte, la partita è soprattutto politica perché ogni rallentamento serve a far perdere smalto alla Meloni e al suo esecutivo. A Bruxelles si sta scatenando il panico sia tra i socialisti (che temono la disfatta e quindi l’opzione di governare ancora) sia tra quell’ala dei popolari che non ama l’asse con i conservatori. Ricordiamoci che questi soldi non sono una cena gratis e dunque per evitare l’accavallarsi di prestiti (decisamente maggiori degli stanziamenti a fondo perduto: in Europa nessuno regala nulla) coprirsi non guasta. Puntare maggiormente sul piano energetico sarà anche giusto ma varrebbe la pena domandarsi se stiamo seguendo la rotta corretta: ha senso, nel nuovo paradigma ecosostenibile, dipendere quasi totalmente dalla componentistica cinese che nel frattempo usa il carbone senza freni e investe per accogliere il gas russo a prezzi assai convenienti? 

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