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Ora i magistrati tornano a fare politica per attaccare il governo

Pietro De Leo
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A volte il calendario diventa, anch’esso, un soggetto politico. E dunque è difficile leggere come una «coincidenza» il racconto che segue, ma è ben più facile interpretarlo come un segnale di sostanza. Ieri, il governo ha posto la fiducia sul decreto P.A, il provvedimento che contiene emendamenti riguardanti lo stop al controllo concomitante della Corte dei conti sull’attuazione del Pnrr e la proroga dello scudo erariale per gli amministratori. Nelle stesse ore, l’Associazione magistrati della Corte dei conti si riuniva in assemblea straordinaria. Una riunione, pare, che ha preso corpo nel week end su richieste accorate della base. Ebbene, nel contesto dell’assise è stata redatta una nota durissima. L’associazione, si legge, «ribadisce la netta contrarietà alle due norme che sottraggono al controllo concomitante della Corte dei conti i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e prorogano l’esclusione della responsabilità amministrativa per condotte commissive gravemente colpose, tenute da soggetti sia pubblici che privati, riducendo di fatto la tutela della finanza pubblica». E ancora, affermano i contabili: «Non sono in gioco le funzioni della magistratura contabile, ma la tutela dei cittadini. La conferma dello scudo erariale, in assenza del contesto di emergenza pandemica nel quale è nato, impedisce di perseguire i responsabili e di recuperare le risorse distratte, facendo sì che il danno resti a carico della collettività. Al contempo, l’abolizione di controlli in itinere, su attività specificamente volte al rilancio dell’economia, significa indebolire i presìdi di legalità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa». Dunque l’Associazione «con gli strumenti che ha a disposizione, continuerà a svolgere le sue funzioni a difesa dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura contabile».

 

 

Ricapitolando, mentre il governo esercita la sua potestà legislativa, i contabili entrano a piedi uniti nel dibattito, in una modalità sicuramente legittima sul piano del confronto pubblico. Ma che lascia qualche perplessità se si considera la prassi costante, esercitata da parte delle magistrature nel nostro Paese, di intervenire con una certa disinvoltura nel merito delle scelte di chi ha il compito di scrivere le norme. Una prassi da cui una sinistra di vecchio e nuovo conio, mai liberatasi dall’istinto a capitalizzare politicamente vicende giudiziarie, trae ossigeno e argomenti. «Giusta la denuncia dell'Associazione dei magistrati contabili che in questo modo viene messa a rischio la salvaguardia della legalità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa», scriveva ieri Debora Serracchiani, responsabile giustizia del Pd. «Soffrono i controlli», osservava, riferito al governo, il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte.

 

 

E al di là delle reazioni in campo sinistro, val la pena sottolineare che, proprio all’inizio di una settimana che segna, come quella precedente, un duello ad alta intensità tra il governo e i contabili, fa capolino in un’intervista a Repubblica anche il Presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia. Sostiene, ovviamente, le ragioni contrarie agli emendamenti che eliminano il controllo concomitante sul Pnrr e prorogano lo scudo erariale. Anticipa un’assemblea della sua associazione sul caso Uss, che a quanto pare sarà assai critica verso il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Contesta l’idea del governo di abolire il reato d’abuso d’ufficio. Così come quella di escludere dalle trascrizioni delle intercettazioni i terzi estranei alle indagini i cui riferimenti emergano nelle conversazioni. Anche in questi casi, dunque, c’è una magistratura che interviene sugli intendimenti dell’Esecutivo rivendicando quelle che sono, di fatto, delle istanze programmatiche. Sembra permanere, in svariati fatti e circostanze, l’anelito verso quel «servizio di complemento» rispetto alla politica evocato a suo tempo da Francesco Saverio Borrelli. In quell’eterno ’92 che sembra non finire mai. Ed è il vero limite del nostro malandato Paese.

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