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Romano Prodi, la boutade sulla lottizzazione autoritaria

Riccardo Mazzoni
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«In questi giorni sono emersi due segnali nuovi che non si debbono sottovalutare. Nessuno ha ragionato su un sistema informativo che dopo decenni di duopolio si sta trasformando in un monopolio della destra. E al tempo stesso sta emergendo la tentazione di escludere il presidente Bonaccini dalla ricostruzione in Emilia-Romagna. Ma così siamo davanti ad un governo che punta a prendersi tutto. C’è una parola semplice che riassume tutto questo: autoritarismo. Così si sta cambiando la natura del Paese». Parole e musica di Romano Prodi, fondatore dell’Ulivo e nume tutelare del Pd. All’indomani della batosta storica subita alle amministrative, dunque, lo spartito non cambia: a sinistra si continua ancora a denunciare la svolta autoritaria, ma – verrebbe da dire – da che pulpito arriva la predica!

 

Da un uomo di Stato come Prodi, espertissimo navigatore nel mare magnum del potere, dal timone dell’Iri negli anni ’80 (quando fece approvare dal comitato di presidenza 170 nomi, dei quali 93 esponenti della sinistra dc) a Palazzo Chigi fino al vertice della Commissione europea, ci si aspetterebbe un surplus di cautela nel giudicare con termini così apocalittici l’avvicendamento in atto sulle poltrone che contano: con l’Ulivo al governo, infatti, il meccanismo spartitorio funzionava quasi come la ghigliottina ai tempi di Robespierre, e un illustre conterraneo del Professore, Lanfranco Turci, pronunciò sull’argomento parole definitive: «Le nomine sono corrette perché nei regimi democratici ogni nuovo indirizzo politico deve disporre a suo piacimento dei posti di responsabilità secondo la pratica dello spoil system (sistema dello spoglio)».

La pensava diversamente Antonio Maccanico, grand commis della Repubblica che invece, da coscienza critica della maggioranza, disse di sentire puzza di lottizzazione tra la falange di ulivisti che stavano accaparrandosi le poltrone di mezza Italia: «Questo centrosinistra – disse – non deve replicare la scena calcata dai vecchi governi». In realtà lo spoil system fu spietato: tanto per fare un esempio, furono sostituiti decine di provveditori agli studi per sottomettere l’intera rete scolastica alle direttive politico-culturali del Pds, per non parlare delle nomine a tappeto decise da Veltroni nei vari organismi culturali e delle promozioni selvagge volute dal presidente della Rai Enzo Siciliano, a proposito di monopolio informativo. Quando poi Prodi, alla testa dell’Unione, tornò al governo nel 2006, le cose andarono se possibile ancora peggio, e fu una forza di maggioranza - Rifondazione comunista - a denunciare che dall’usciere all’amministratore delegato di un ente governativo, dal presidente di una municipalizzata all’impiegato di secondo livello in qualche ministero, la sinistra aveva riempito ogni strapuntino di potere colorandolo di rosso. Una lottizzazione scientifica che coinvolse, oltre ai vecchi manager della scuola Iri, consulenti, tecnici, docenti universitari, parlamentari trombati e scudieri politici.

 

«Meccanismi spartitori e di potere dal sapore antico, logiche logore che aggiornano l'attualità di una questione morale» – fu l’accusa, mentre il centrodestra parlò di «controllo totale del governo sulla Rai». Ma se lo faceva il governo Prodi era spoil system, se lo fa il centrodestra è autoritarismo, anche se più che di un’epurazione sarebbe più corretto parlare di fughe volontarie a caccia di contratti milionari o, magari, di un posto all’Europarlamento. Quanto, infine, alla querelle su Bonaccini commissario alla ricostruzione in Emilia-Romagna, a Prodi deve essere sfuggito che Pd e Cinque Stelle nominarono commissario straordinario per il post-terremoto in Abruzzo Legnini, candidato del Pd sconfitto alle regionali del 2019, e non il governatore Marsilio. Ma nessuno allora parlò di autoritarismo. 

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