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Giustizia, con il ministro Nordio si volta pagina sulle intercettazioni selvagge

Riccardo Mazzoni
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Nordio come Nerone: abbiamo letto anche questa enormità fra i commenti sulla riforma della giustizia annunciata dal Guardasigilli, che sarebbe il frutto avvelenato di una furia iconoclasta contro le istituzioni di garanzia, come se la separazione delle carriere non fosse la regola in molti Stati di diritto, e come se l'obbligatorietà dell'azione penale non fosse scaduta a vuoto simulacro per consentire al partito delle procure di selezionare le notizie di reato e colpire a proprio piacimento gli avversari politici.

Lo scandalo Palamara nella testa dei giustizialisti è già stato cancellato, anzi non è mai esistito, nonostante le sue indiscutibili evidenze e la carica eversiva di una parte militante della magistratura che ha usato l'ordine giudiziario come un grimaldello per soppiantare la volontà popolare. Che la giustizia italiana sia da riformare in profondità, e che il potere dei pubblici ministeri sia straripato troppo spesso in un'onnipotenza senza regole - e senza che gli errori siano mai stati sanzionati non è una teoria o una supposizione: è la cruda realtà che trova riscontro, per fare un solo drammatico esempio, nell'uso indiscriminato della carcerazione preventiva, assurta ai tempi di Tangentopoli a metodo coercitivo e surrettizio di acquisizione della prova.

Nordio dunque, insigne giurista con alle spalle una carriera da magistrato integerrimo, col suo profilo garantista ha tutte le carte in regola per riportare la giustizia italiana nell'alveo costituzionale dopo le sbandate forcaiole culminate col trionfo del populismo grillino e col Grande Fratello giudiziario instaurato attraverso l'uso dei trojan e le intercettazioni a strascico, la cui riforma è un passaggio ineludibile, anche perché ce lo chiede l'Ue, che ha messo più volte sotto accusa i ritardi e le storture del nostro sistema giudiziario. Chi oggi protesta per le nuove regole annunciate da Nordio finge di dimenticare la sentenza della Corte di Giustizia europea che nel marzo 2021, accogliendo il ricorso di un cittadino estone, mise nuovi e cruciali limiti alle incursioni delle Procure nei dati privati dei cittadini: i tabulati telefonici, le chat, tutto quanto in un telefono o nelle memorie delle compagnie telefoniche racconta la vita privata può essere consegnato alla giustizia solo su richiesta di un giudice e solo in caso di reati gravi, esattamente il contrario di quanto accade in Italia.

Non solo: devono essere distrutte tutte le intercettazioni che, non costituendo immediatamente riprova di minacce gravi alla sicurezza pubblica, sono rimaste per anni nella disponibilità dei magistrati, costituendo una indebita violazione del diritto alla privacy. Una sentenza che ha delegittimato l'uso disinvolto delle intercettazioni a strascico, da cui sono nate molte inchieste che hanno fatto grande clamore mediatico ma poi, in sede di tribunale del riesame si sono viste demolire la gravità indiziaria o si sono concluse con un non luogo a procedere.

Ebbene, ora il governo non fa altro che perfezionare l'adeguamento ai dettami di quella sentenza che ha fissato dei paletti precisi: se non ci si trova di fronte a reati di particolare gravità o a pericoli per la sicurezza pubblica, il diritto alla riservatezza prevale sulle esigenze accusatorie, e può essere eluso solo con la presenza di un giudice imparziale nella fase decisiva delle indagini preliminari.

Con la dottrina Bonafede le intercettazioni non servivano per trovare la prova di un reato già ben individuato, ma si creavano i presupposti formali per scandagliare le vite di ognuno e intercettare di tutto e di più alla ricerca di nuovi reati. Inquisizione allo stato puro, insomma. Ora, con Nordio, si volta definitivamente pagina. 

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