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Migranti, l'accoglienza costa cara. Paragone: "In Italia non ci sono i soldi"

Gianluigi Paragone
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L’altro giorno in televisione mi sono ritrovato a dover discutere di immigrazione; nulla di nuovo per carità, del resto le regole del gioco sono chiare a tutti: da una parte il cattivo che vuole chiudere le frontiere dopo aver chiuso il suo cuore di fronte a tanto dramma (il sottoscritto) dall’altra il buono che invece si commuove per chi richiede asilo e vuole vivere una vita diversa (e qui se la giocano il Pd e altre sigle di sinistra).

Per eleganza non avevo tirato in ballo le vicende del sindacalista dei braccianti Soumahoro: al netto di alcuni fatti accertati dall’ispettorato del lavoro di Latina riguardanti debiti retributivi e contributivi della società della moglie per circa 400 mila euro, le segnalazioni contro il neo parlamentare della sinistra possono anche essere una rivalsa contro chi è stato eletto in parlamento. Quindi mi tengo stretto il mio moderato garantismo e non accelero responsi, a maggior ragione perché il tema dei braccianti e dello sfruttamento bestiale esiste e Soumahoro ha avuto la forza di farlo emergere. Il passaggio sul deputato di colore (non il primo nella storia italiana) era necessario per tornare sugli schemi narrativi legati alla immigrazione, impregnati di giusto e sbagliato a seconda della emotività di fronte alle immagini e alla sofferenza. Non basta accendere una telecamera sulla sofferenza per livellare tutte le mille storture che le migrazioni sollevano, anche perché nella quotidianità del vivere ognuno ha valide ragioni per ingaggiare uno scontro tra ultimi e penultimi. Né si può proseguire a colpi di parole ormai prive di significato per abuso delle stesse, quali razzismo e tolleranza. La conflittualità che esiste - ed esiste - è proprio il risultato della superficialità con cui si analizza la questione. Una superficialità che consente di fare propaganda se non addirittura... economia e business. È inutile pensare che si debba o si possa accogliere a costo zero.

L’accoglienza ha un costo elevatissimo, un costo che si chiama welfare. E poi ha un carico dettato dal tempo della crisi economica che si vive. È pericolosissimo fare sbarcare uomini, donne e minori perché fanno pena: salvare vite in mare è un conto, costruire l’accoglienza è un altro. Spesso non si accoppiano. A costo di apparire cinico, ripeto che chi affronta il mare a bordo di imbarcazioni precarie, condotte da persone disumane, e vive nel tragitto violenze e sopraffazioni da pene dell’inferno, non avrà più remore pur di ottenere un riscatto: nella sua testa il riscatto è una ricompensa dovuta. La spirale che si innesca non è affar suo. Non c’è una casa per lui? Se la va a prendere in qualche modo. Così come in qualche modo si va a prendere i soldi necessari: umiliandosi lavorando sfruttato e sottopagato, prostituendosi, spacciando o consegnandosi alla criminalità. E così se vuole una donna. In questa disperazione, le persone di uniscono per tornare a essere viste e possono diventare molto pericolose, specie se si è giovani.

Gli immigrati non si concentrano nei piccoli centri abitati ma si indirizzano almeno in città medio -grandi, dove col passare del tempo partecipano alla spartizione e al controllo del territorio. Ci sono aree dove le forze dell’ordine non entrano nemmeno più. E laddove entrano non possono fare nulla. Pensare che si debba far entrare perché «scappano dal dolore» ma poi fregandosene bellamente di cosa succede dopo è follia. Le persone hanno il sacrosanto diritto di difendere il lavoro e quel brandello di diritti che ci sta appiccicato sopra. La gente ha il sacrosanto diritto di potere viaggiare sui mezzi pubblici (quelli che ancora non vengono tagliati) senza paura di assistere o essere coinvolto in risse che poi non si sa come vanno a finire; così come ha il sacrosanto diritto di abitare in periferia senza per questo dover scappare per paura di essere taglieggiati dal racket della prostituzione o della droga o del crimine.

Gli italiani hanno il sacrosanto diritto di potersi sentire sofferenti di fronte alla trasformazione delle proprie zone in quartieri africani, arabi, cinesi, sudamericani per effetto della quale strutture fondamentali come i presidi medico sanitari, come le scuole, gli asili e altro restano sguarniti per mancanza di persona che voglia andare a lavorare lì. L’immigrazione non è un tema da Ong caritatevoli. L’immigrazione è un pezzo di una globalizzazione che è entrata in casa senza chiedere permesso e senza voler pagare un prez zo.

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