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Il governo incoraggi il welfare aziendale. Così aumenteranno le buste paga

Enzo De Fusco - Consulente del lavoro e docente a contratto Università Roma Tre in Analisi delle retribuzioni e costo del lavoro.
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Che non ci fossero i soldi per aggredire il costo del lavoro, questo si sapeva. Quindi, non deve sorprendere quanto emerso dal dialogo Governo - organizzazioni sindacali. Però, se non ci sono soldi almeno liberiamo il welfare aziendale da oneri burocratici inutili e il più delle volte dannosi. Il ragionamento è semplice. Ogni anno nel privato vengono corrisposti circa 360 miliardi di retribuzioni. Sono gli stipendi che le imprese private italiane, tutte, corrispondono ai propri lavoratori. Su queste ingenti somme di denaro lo Stato incassa 140 miliardi di contributi previdenziali e circa 90 miliardi di Irpef. Questa è la situazione di partenza. Quando si afferma di voler ridurre il costo del lavoro, tecnicamente si intende disporre una norma che sostanzialmente determini un minor incasso degli oneri sopra descritti a vantaggio di imprese e lavoratori. In altri termini, questi ultimi pagherebbero meno contributi e meno Irpef. Ma lo Stato, a quanto pare, non può rinunciare a queste somme. Per fare un esempio se il Governo intendesse ridurre il costo del lavoro a tutti i lavoratori e imprese italiane per ogni punto percentuale ci vorrebbero circa 3,6 miliardi. Volendo, invece, ridurre del 5% il costo del lavoro, ci vorrebbero 18 miliardi.

 

 

Un'azione di riduzione del costo del lavoro così impostato, certo avrebbe l'effetto di aumentare i salari dei lavoratori dipendenti e nel bilancio familiare consentirebbe loro di aumentare le «entrate» per usare un termine bilancistico. Quindi, è intuitivo come in questo caso la famiglia, con il taglio delle tasse, avrebbe maggiori disponibilità di spesa. Su questo fronte, sembrerebbe ci sia la disponibilità a prorogare solo per il 2023 la riduzione di 2 punti percentuali del costo del lavoro interamente a carico dei lavoratori e già introdotta dal Governo Draghi (per le retribuzioni fino a 35.000 euro). Iniziativa, certamente importante (circa 4 miliardi di spesa), ma sicuramente nell'economia reale non sarebbe percepita come un'azione incisiva. Bene, ma se questa è la situazione allora il Governo per evitare lo stallo potrebbe valutare di fare due cose e l'una strettamente connessa all'altra. La prima, consentire lo sviluppo del welfare aziendale. Cosa vuol dire? Significa stimolare le imprese private a farsi carico di servizi e oneri che sono normalmente nel bilancio di una famiglia italiana. Quindi, le spese di energia, carburanti, telefono e anche il carrello della spesa quotidiana, l'affitto di casa, le spese per la scuola dei bambini. Insomma, se lo Stato non è in grado di migliorare la situazione dei lavoratori e delle loro famiglie agendo sulle maggiori entrate della famiglia stessa, allora deve investire sul welfare aziendale e provare a verificare se il sistema delle imprese private riesca almeno indirettamente a migliorare la capacità di spesa dei lavoratori e delle loro famiglie.

 

 

Va verso questa direzione la norma contenuta nel decreto Aiuti quater che eleva una parte del welfare da 600 euro a 3.000 euro ma solo fino a fine anno. Ma bisognerebbe fare di più. Va liberato il welfare da qualunque laccio o lacciuolo burocratico oggi esistente per potervi accedere. Già oggi, a determinate condizioni, il welfare è privo di oneri fiscali e contributivi e questo è un passo in avanti. Ma proprio le condizioni di accesso, che l'Agenzia delle Entrate ha interpretato a volte andando anche oltre le norme, mettono paura le imprese che automaticamente si ritraggono per evitare di incorrere in qualche sanzione. Questa sembra l'unica strada immediata, incisiva, fattibile e indispensabile, almeno per l'anno 2023. Strada che potrebbe essere percorsa senza imporre un limite quantitativo all'aiuto e qualora l'impresa dia una mano collettivamente ai propri dipendenti. Certo, un'iniziativa di questo tipo - e veniamo alla seconda cosa - imporrà un duro confronto con la Ragioneria generale dello Stato perché sicuramente essa richiederà la copertura finanziaria sul presupposto che incentivare in maniera più massiccia il ricorso al welfare, genera nelle casse dello Stato minori (ipotetiche) entrate. Però, in una economia pandemica ancora non terminata sommata a una economia di guerra e in una condizione in cui lo Stato non ha i soldi per fare quello che servirebbe, forse è opportuno mettere da parte qualche ideologico o peggio ancora dannoso ragionamento tradizionale e guardare la realtà; ossia, che una iniziativa di questo tipo consentirebbe allo Stato di lasciare intatte le entrate esistenti poiché non si riducono gli oneri fiscali e contributi, e allo stesso tempo le imprese, in uno spirito di responsabilità sociale, sarebbero aiutate a risolvere parte del problema delle famiglie italiane. Si può fare basta crederci.

 

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