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Altro che liberale, Carlo Calenda andrà a sbattere dopo l'alleanza con l'estrema sinistra

Benedetta Frucci
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Dopo aver passato mesi a dichiararsi liberale ed estraneo ai due poli, Carlo Calenda ha deciso di consegnarsi all'«allegra macchina da guerra» lettiana. Con questa mossa, l'ex candidato sindaco di Roma si assicura dei collegi nell'uninominale ma, di certo, perde tutto quell'elettorato liberale e centrista che poteva potenzialmente conquistare. Già, perché puoi pure spiegare che nei collegi non sarà candidato Fratoianni, puoi chiamarla alleanza tecnica ma la verità è che Azione è nella stessa coalizione dell'estrema sinistra. Perché, dunque, un elettore deluso dal centrodestra dovrebbe sceglierlo? La parte più sorprendente, però, è il ruolo di Mariastella Gelmini e Mara Carfagna: due politiche esperte, stimabili, che scelgono di consegnarsi a una coalizione così sgangherata, tenuta insieme solo da un collante apparente, quello di «fermare le destre» e, nello specifico, Giorgia Meloni. Cosa ha a che fare Mara Carfagna con chi dice no ai rigassificatori, al nucleare, con chi propone patrimoniali? Può Mariastella Gelmini candidarsi in compagnia del partito delle tasse e delle manette? Ed Enrico Costa, come farà a discutere di giustizia con Anna Rossomando, schierata sul no al referendum? Il carrozzone andrà a schiantarsi: è una facile profezia.

 

 

Ma accanto allo schianto, c'è un'occasione persa, quella di costruire un polo liberale e riformista competitivo il più largo ma coerente possibile. Certo è che i campanelli d'allarme c'erano stati: Carlo Calenda aveva votato Virginia Raggi a presidente della commissione Expo, aveva nominato responsabile alla sanità Walter Ricciardi, il fautore dei lockdown, aveva scritto un libro che è stato giudicato il manifesto dello statalismo illiberale. Si chiama «La libertà che non libera» e, in effetti, il titolo non prometteva bene per uno che si professava punto di riferimento dei liberali. Tanto è vero che Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi, durante un aperitivo nei pressi di Palazzo Madama ha commentato: «Ci si presenta alle elezioni con la propria identità, le alleanze si fanno dopo le elezioni, non prima. Confondere le due cose vuol dire non avere ben chiaro come si fa politica. Oppure, vuol dire che si fa la vecchia politica».

 

 

In fondo, Calenda ha solo dato ragione ai suoi detrattori, dimostrandosi la stampella destra del Pd. Intanto, però, se gli elettori di Azione piangono, Matteo Renzi sorride: ora il centro ha solo un occupante. Non a caso proprio questo giornale, aveva riportato una sua profezia di qualche mese fa: «Il centro sono io». E, appresa la notizia, ieri il leader di Italia Viva ha sorriso. Consapevole che la possibilità di intercettare il voto dei delusi da Forza Italia, adesso, è solo sua.

 

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