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I finti scoop e il ritorno di Beatrice Di Maio: quanto e quando la sinistra ha cavalcato indagini poi finite nel nulla

Davide Vecchi
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Faccio fatica a comprendere come una persona seria come Enrico Letta possa ridursi a cavalcare una finta notizia - sonoramente smentita dal sottosegretario con delega ai servizi Franco Gabrielli - solo per screditare un avversario politico, Matteo Salvini. Così come mi stupisce vedere una Procura tirare fuori da chissà quale cassetto un fascicolo impolverato risalente al 2019 con ipotesi accusatorie inesistenti («l'accettazione della promessa») e lasciarla usare liberamente alla stampa (un solo giornale, in realtà) per montare una campagna d'odio nei confronti di Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia in vista delle elezioni. Proprio non comprendo come ancora oggi si possa sposare fedelmente il lavoro di un magistrato, dopo i macroscopici errori commessi dalla categoria (l'ultimo riguarda Antonio Bassolino: l'ex sindaco e governatore assolto ben 19 volte) e come qualche politico ancora sia disposto a lasciare alle procure il potere di condizionare il voto dei cittadini. Servirebbe un po' di dignità personale: sono i politici che si delegittimano, che si affidano e confidano nell'aiutino invece di portare avanti con coraggio e forza istanze proprie, programmi e punti chiari. Guarda caso è sempre la stessa parte politica che dal 1992, da Tangentopoli in poi, ne beneficia.

 

 

Ricordo alla perfezione il gennaio 2013. Siena, indagine su Monte dei Paschi appena emersa. I giornali erano un fiorire di notizie su soldi spariti dalle casse della banca e persi in mille rivoli che però sfociavano tutti a un unico mare: il Pd. Lo stesso Giuseppe Mussari, additato come principale responsabile del tracollo finanziario di Rocca Salimbeni (gli tirarono pure le monetine fuori dal tribunale) era iscritto al Pd e al partito aveva versato di tasca propria quasi 800 mila euro; era stato nominato alla guida della Fondazione, poi della banca e infine dell'Abi grazie proprio al Pd (in particolare Massimo D'Alema, Giuliano Amato, Piero Fassino e altri). Il flusso di notizie era tale da non poter far finta di nulla. Come ignorare le richieste di soldi avanzate dai politici a Mussari? Nessun giornale poteva ometterle. Ma era da poco caduto il governo guidato da Mario Monti e a fine febbraio si sarebbero tenute le elezioni politiche, così, per fermare lo sputtanamento generale del Pd, intervenne direttamente il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, invitando i giornali a non pubblicare le notizie e la procura a non fornirne. Un bel bavaglio del Colle alla stampa. Tutto questo io l'ho visto e vissuto e raccontato. I fatti dunque mi hanno spinto a non prendere più come oro colato quello che arriva dalle procure. Perché basta una riga su un giornale per rovinare la vita a una persona. E ultimamente le procure sbagliano parecchio. Quindi i giornali, oltre a controllare chi governa dovrebbero anche verificare tutte le veline e approfondire invece di prendere per verità assoluta ciò che arriva dagli inquirenti.

 

 

L'elenco di elezioni falsate dalle indagini è lungo. Il caso Terracina e dell'ex sindaco Nicola Procaccini- letteralmente tirato per i capelli dentro l'inchiesta - ricorda tanto quello avvenuto quasi venti anni fa a un altro amministratore, Graziano Cioni. A Procaccini contestano una telefonata a una impiegata dell'ufficio tecnico comunale fatta mentre lui era sindaco (invece negli atti scrivono che non lo era più) per avere chiarimenti su una pratica ma quella telefonata non solo non è mai stata registrata- quindi non se ne conoscono i contenuti reali - ma poi l'iter ha seguito il corso naturale; idem a Cioni che però fu costretto a ritirarsi dalle primarie del Pd a sindaco di Firenze e venne assolto in via definitiva dalla Cassazione perché le accuse erano totalmente infondate ma dieci anni dopo. Lì c'era da fermare Salvatore Ligresti (pure lui assolto) che stava costruendo l'area Castello a Firenze, a Terracina ora c'è da colpire Giorgia Meloni. Anche se è evidente l'infondatezza delle accuse e la forzatura del collegamento con la leader di Fratelli d'Italia. Si vedrà. Fa invece ridere il fogliettone serioso dedicato a Salvini e a presunte fonti dell'intelligence sulla disponibilità della Lega a far cadere il governo Draghi su spinta addirittura di Putin. Fa ridere non solo (e non tanto) per i contenuti - seccamente smentiti da Gabrielli - ma per l'autore dell'articolo. È lo stesso che qualche anno fa scrisse che la procura di Firenze indagava sul profilo twitter di Beatrice Di Maio ritenendola il capo della rete di cyberpropaganda grillina finanziata da Putin. Sì, è fissato con Mosca. Ma soprattutto con le notizie false. Perché quella volta si scoprì non solo che la procura di Firenze manco sapeva chi fosse Beatrice Di Maio ma soprattutto che il profilo era di Titti Giovannoni, bravissimo e stimatissimo architetto nonché moglie di Renato Brunetta. Insomma, Letta and company dovrebbero parlare di politica e programmi invece di seguire finti scoop. Il tempo per dire cosa volete fare del Paese è poco, non perdetelo cercando la polvere in casa d'altri.

 

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