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Leonardo Del Vecchio ci insegna il valore dell'esempio

Mario Benedetto
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La scomparsa di Leonardo Del Vecchio, oltre a rappresentare una vicenda familiare dolorosa, mette l'accento su una questione tutt'altro che distante dalle sorti della nostra società in termini diffusi. Del Vecchio era un padre, un marito, un riferimento perla sua famiglia, ma anche per noi e per il nostro sistema, economico e sociale. Stiamo sentendo più spesso in queste ore, come al solito tardivamente, la storia di un italiano che andrebbe insegnata nelle scuole, raccontata, approfondita, analizzata e ascoltata. Hanno responsabilità le famiglie, abbiamo responsabilità noi, hanno responsabilità i luoghi dove si fa formazione, dove dovrebbe esserci più spazio per le idee e meno per le ideologie.

Ce lo dicono i racconti che ci vengono regolarmente fatti, ce lo dice la nostra storia di alunni e allievi. Almeno la mia, che mi ha portato a vivere una condizione di sudditanza (tentata) per il lavoro di mio padre. Del quale, peraltro a proposito di esempi, vado orgoglioso. Scopriremmo che ci sono tanti Del Vecchio, tanti eroi di tutti i giorni, cui destinare la nostra attenzione e la nostra stima. Sono gli esempi, i modelli. Esistono. E, mentre ne viene spesso dimenticato il valore o ce ne vengono proposti alcuni di discutibili, queste persone costruiscono percorsi che fanno grande la loro storia e la nostra.

A maggior ragione, chi tra questi raggiunge risultati che lo rendano di fatto riferimento nazionale e mondiale nel proprio ambito, di vita e di lavoro, meriterebbe ulteriore attenzione. Soprattutto in considerazione del percorso che lo ha portato a quei risultati, se pulito, di sacrificio. Meriterebbe più attenzione come persona, nello specifico, ma anche per quello che rappresenta per tutti, in termini generali: un esempio, un modello, appunto. Ci lamentiamo di derive valoriali, derive di comportamento, ma facciamo poco per combatterle. Tutto questo ha un peso importante in un Paese come il nostro dove, in questo momento storico, i cosiddetti Neet (giovani tra i 14-34 anni che non studiano né lavorano) sono ben al 25,1%.

Detta diversamente, parliamo di 3 milioni di ragazzi. Detta diversamente ancora, 1 ragazzo su 4. Fermiamoci un attimo su questo dato e capiamo cosa (non) stiamo costruendo. Si parte dalle maniche rimboccate, si, dall'atteggiamento di ricerca e non di attesa. Ma anche dalle opportunità che si offrono loro, da quelle concrete in ambito sociale e lavorativo, agli esempi. Esempi che nella migliore delle ipotesi trascuriamo o che proprio non ci piacciono, stanno diventando quasi discriminatori in un panorama dominato da un'ideologica pericolosamente relativista. Mentre sono tra le risorse più preziose che abbiamo, gli esempi.

Per quello che garantiscono, nel presente, e per quello che assicurano, nel futuro: il loro esempio, infatti, non è altro che lo stimolo su cui pensare di consolidare, e magari sviluppare, culture di «successo». Intendendo con questo non solo il «guadagno», peraltro da non colpevolizzare in sé ma nella chiave riduttiva che stiamo lasciando affermare oggi nel sistema di riferimento di valori e obiettivi, specie dei ragazzi.

Preoccupiamoci degli esempi. Di quelli che forniamo con i nostri comportamenti, mai pareggiabili dalle più belle e melodiche parole. Di quelli che facciamo conoscere grazie alla nostra quotidianità, di cittadini e di professionisti. Così questo può smettere di essere il Paese in cui quelli svegli sono i «furbetti», pubblicamente condannati, ma privatamente emulati quantomeno inconsciamente più spesso di quanto pensiamo. Finalmente l'imprenditore potrà essere visto come colui che produce valore per sé e per tutti, chi fa sacrifici non visto come un fesso ma come un nobile cittadino o lavoratore. Scoprendo che solo chili ha fatti quei sacrifici è diventato quell'esempio, per davvero, che ciascuno di noi deve ricordare a tutti, partendo da sé stesso. Perché ricordare gli esempi, il loro valore, per di più è il miglior modo per tentare di diventarlo.

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