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Di male in Sergio

Il Capo dello Stato è a metà mandato. Non è impresa da poco, ma riesce a far rimpiangere persino Napolitano

Marcello Veneziani
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Nel mezzo del cammin della sua vita, Mattarella si ritrovò in una selva oscura chè la diritta via era smarrita. Oggi il Presidente è a metà del suo mandato al Quirinale, e non guasta tracciare un mezzo bilancio di questo primo tempo presidenziale. È a metà del guado, o a metà del guano, se consideriamo la palude escrementizia in cui ci troviamo. La selva oscura è la foresta gialloverde con cui è costretto a coabitare, e la diritta via è quella del Pd e frattaglie annesse che lo mandò al Quirinale e nella cui ombra, in seconda fila, ha vissuto per anni dopo aver vissuto nella terza fila della Dc. Mattarella al Quirinale fu un parto dell'allora zar Matteo Renzi che pensò di circondarsi di ombre per rifulgere come il Re Sole del sistema politico. Mattarella era una figura minore della prima repubblica, un gregario della corrente demitiana, che doveva qualche briciolo di notorietà al fatto di provenire dalla Famiglia Mattarella, e di essere fratello di Piersanti ucciso dalla mafia. La sua carriera politica è legata al Mattarellum che non è un suo antenato ma uno dei tanti artifici elettorali della seconda repubblica, come il porcellum e altri pasticcetti parlamentari. Mentre il suo capocorrente De Mita diventava sindaco di Nusco, l'affiliato siciliano diventava Presidente della Repubblica per grazia ricevuta. D'improvviso Mattarella passò per statista, una via di mezzo tra Moro e Andreotti; la sua flemma, il suo "aplomb", la sua bocca cucita, i suoi discorsi biascicati come rosari, la sua lieve gibbosità senza collo, per dimostrare che ha la testa sulle spalle, la sua nuvola bianca sul capo, furono visti come segni della sua saggezza e della sua felpata prudenza. E non segni del suo gattamortismo istituzionale, che ci portava – con rispetto celiando – a ribattezzarlo Mummiarella, Mosciarella o Mortarella. In questo mezzo settennato, a parte le ovvietà dei sermoni, Mattarella è riuscito a specializzarsi in una sola pertinenza: è stato il Presidente dei migranti e dei loro impresari locali. Scambiandosi spesso il ruolo con Papa Bergoglio, Mattarella ha ripescato il vecchio gergo della solidarietà e dell'accoglienza, del superamento dei confini e del rigetto di ogni sovranità nazionale e popolare. Insomma è stato il custode dell'establishment ma con finestra affacciata sui barconi. In alto rassicurava i potentati interni ed europei, in basso apriva le porte ai migranti. Nel mezzo c'era solo quella fastidiosa, urticante sterpaglia detta popolo italiano. O perlomeno quella che Flaiano definiva «la trascurabile maggioranza degli italiani». In un paese martoriato ogni giorno da crimini, stupri, uccisioni, è riuscito a indignarsi pubblicamente e a parlare di far west perché un fesso ha sparato a caso con un fucile ad aria compressa colpendo e ferendo una bambina rom. Ma nello stesso giorno il ministro degli interni Salvini stava facendo sgombrare un campo rom e il presidente ha trovato un modo obliquo per mandare un messaggio preciso: sto dalla parte dei rom. Che colpa ne ho se il cuore è uno zingaro e va? Durante tutto il suo mandato Mattarella è stato una cassa di risonanza ad alta fedeltà di tutto ciò che ha detto e pensato il Pd. Un ripetitore, un altoparlante, anzi un bassoparlante da un'alta posizione. A cominciare dalla celebrazione permanente dell'antifascismo, aggirandosi tra lapidi e corone contro il nazifascismo, fino alla denuncia ossessiva del razzismo e del ritorno in campo di Hitler sotto falso nome. Altri orrori, altre memorie, altri valori condivisi e altre paure non ha evidenziato, il presidente della repubblica senza gli italiani. Sul piano politico e strategico il punto più basso lo ha toccato di recente quando ha posto il veto su Savona ministro dell'economia e ha proposto un governo del presidente senza accorgersi che non sarebbe stato nemmeno un governo di minoranza ma addirittura un governo senza un voto parlamentare. In queste vicende si è vista l'abissale differenza col suo predecessore, il comunista navigato Napolitano, che queste manovre almeno le sapeva fare. I paragoni col passato riescono a rivalutare anche presidenti controversi e figure minori. Più della metà degli italiani non lo vede e non lo sente come il suo presidente o come una figura super partes che garantisce tutti, ma come un reperto della prima repubblica riesumato alla fine della seconda per celebrarne le esequie.

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