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Apreda: "La mia cucina senza sale. Bastano alghe e spezie"

Paolo Zappitelli
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[Il Natale di Francesco Apreda, chef stellato del ristorante Imago dell'Hotel Hassler a Trinità dei Monti, è diverso. Nel senso che né la cena di stasera né il pranzo di domani li trascorrerà a casa ma nel ristorante a preparare i piatti del suo menu. «Certo un po' mi pesa non essere in famiglia - racconta seduto a un tavolo con vista su tutta Roma - ma è il mio lavoro e vale qualche sacrificio». A casa però si perdono un pranzo stellato... «Sì, ma per loro cucino il giorno che sono di riposo. Me lo chiedono i miei figli. Specialmente Alex, il più piccolo, qualsiasi piatto preparo mi dice che è la cosa più buona che abbia mai mangiato...». Quindi va anche a fare la spesa? «Certo, vado al supermercato, al mercato, ma sono un disastro. Compro di tutto, quando mia moglie guarda lo scontrino mi dice che non è possibile che abbia speso così tanto». Dalla cucina di casa a quella del ristorante. Nei suoi piatti c'è un uso particolare delle spezie. «Sono il frutto del mio incontro con l'India. Sono andato lì la prima volta nel 2004, avevo 29 anni e ero tornato da poco dal Giappone. Ma l'India mi ha letteralmente folgorato con i profumi, gli odori, i sapori. In aeroporto, le prime volte che tornavo a Roma, sembravo un contrabbandiere. Mi portavo di tutto. Una volta sono arrivato con una enorme corteccia di mango. Mi hanno fermato al controllo e mi guardavano perplessi. Poi gli ho spiegato che mi serviva per una affumicatura e mi hanno lasciato passare. Ormai almeno una volta al mese vado a Delhi o a Mumbai perché con l'Hassler abbiamo una consulenza con i ristoranti della catena Oberoi». Quanto tempo ha impiegato prima di riuscire a dosarle nel modo giusto? «Un po' ma adesso posso dire di aver raggiunto l'equilibrio. Oggi il 30% dei miei piatti è senza sale perché riesco a dare sapidità proprio con le spezie e con le alghe. Lo scopo è di far sentire il vero sapore di quello che abbiamo nel piatto». Una essenzialità che le arriva da un'altra esperienza, quella del Giappone. «Sì, a 27 anni ero chef a Tokio e l'unico italiano dell'albergo dove lavoravo. È stato un periodo incredibile per la mia formazione, lì ho imparato il rispetto del cibo e soprattutto dell'ospite che hai davanti. E ancora oggi mi escono idee che sono frutto di ricordi, sapori, lampi della cucina giapponese». Ad esempio? «Un piatto che ho in menu da 8 anni e che fa impazzire tutti, il cappellotto di parmigiano con doppio umami. A Tokio avevo mangiato un brodo freddo e mi portavo dietro l'idea di rifarlo. Però ci ho abbinato un cappellotto caldo con parmigiano di 36 mesi di vacche rosse e sette spezie. Così ho sapidità senza dover aggiungere sale. E il contrasto caldo-freddo è strepitoso». E il piatto del cuore di Francesco Apreda? «Se penso a me, gli spaghetti con le vongole in riva al mare. Magari un po' acquosi, con il fondo dei molluschi. Posso pure piangere...».

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