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Per trovare gli eroi sbagliati l'Italia ha una svista De Falco

Gian Marco Chiocci
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Che noia, che barba. Che palle gli eroi di plastica. Basta azzeccare un libro, o dire la cosa giusta al momento fatale ed eccoli nell'areopago dei dispensatori morali di un tribunale che ha solo un grado di giudizio: il loro. Basta poco, appunto, basta fare una cosina per bene e tutto splende nel firmamento delle suggestioni collettive, oscurando le omissioni, i punti oscuri e poco chiari. È sufficiente, ad esempio, un «salga a bordo, cazzo», del comandante dell'autorità marittima Gregorio De Falco, l'eroe buono della nave Concordia da contrapporre all'eroe cattivo della Codardia. La frase urlata al telefono e sapientemente passata ai giornali quando si doveva decidere se mandare un in cella oppure no Capitan Schettino è impressa nell'immaginario nazional popolare. De Falco è il "buono", che nella notte del 13 gennaio 2012, durante il naufragio a largo dell'Isola del Giglio, si rivolge con toni imperativi a Francesco Schettino, il "cattivo", il comandante scapestrato cacciatore di gonnelle del bastimento mandato contro gli scogli assassini. È questa, la sintesi di quella notte. Ed è su quel «salga a bordo» che De Falco ha ricavato la sua patente morale, che ancora ieri, in un'intervista, lo spingeva ad infierire sul suo "alter ego" condannato a 16 anni di galera. «Speriamo che rifletta bene sui suoi errori», maramaldeggia ecumenicamente De Falco. Bene. Ma, nonostante su Schettino ormai ci sia ben poco da dire, e la giustizia ha parlato in maniera definitiva, la «riflessione» va applicata erga omnes, perché per la fretta tutta italica di creare eroi e antieroi, ci perdiamo i chiaroscuri e le tante domande di quella notte. Tipo perché la Capitaneria di Porto di Livorno non si accorse che la Concordia si era avvicinata troppo alla riva. Sorprende anche l'annotazione delle ore 22, quindi 18 minuti dopo l'impatto della nave con lo scoglio, in cui il traffico marittimo dell'ufficio di De Falco veniva definito «regolare». Senza dimenticare, poi, che l'allarme sul naufragio venne lanciato da una passeggera che, dopo aver assistito al crollo di un controsoffitto della nave, telefonò alla figlia a Prato la quale a sua volta segnalò la cosa alla locale stazione dei carabinieri. Da lì, arriva la chiamata alla Capitaneria di Porto. Ma neanche lì la Capitaneria comincia a muoversi immediatamente. Farà passare qualche minuto ancora, alle 22:12 circa, dunque mezz'ora dopo l'incidente. E da lì cominciano i contatti tra la Capitaneria e Schettino. Ben dodici, e di tono tranquillo e collaborativo, prima di quella, improvvisamente concitata, in cui De Falco intima a Schettino di tornare a bordo e lo minaccia di farlo arrestare. Altro punto, poi, è l'accusa che De Falco rivolse a Schettino, poi ritrattata giustificandola con la concitazione del momento, di voler prelevare la "scatola nera" della nave, argomento che fu alla base dell'arresto del Capitano. Dubbi, punti oscuri, presunte negligenze che tuttavia non hanno influito sulla costruzione del profilo di un eroe di cui si è scritto e detto tutto il meglio possibile, con i suoi effetti collaterali. Cioè che poi l'eroe, al minimo cambiamento di cose sgradito, la prende sul personale e ci costruisce sopra il romanzetto della persecuzione. Accadde, ovviamente, anche a De Falco quando stava per essere trasferito d'ufficio sulla base di una fisiologica rotazione interna alla Capitaneria, e salutò la notizia con «questo Paese storto punisce i suoi servitori», e da lì ovviamente si scatenò una ridda di polemiche, perché in Italia funziona così: un eroe non puoi non difenderlo. Anche se sotto il mantello nasconde un po' di polvere.

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