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di Antonio Angeli Ma quale leggenda? Lui, Frankenstein, il professore pazzo che assemblava pezzi di cadaveri e poi gli sparava dentro qualche bilione di volt, sperando che lo «spezzatino» prendesse vita, è esistito davvero.

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Ovviamenteun personaggio così aveva un sinistro castello, che tutt'oggi si trova a Darmstadt, nel sudovest della Germania. Nessuno ha mai saputo esattamente cosa accadesse dentro e attorno alla fortezza, ma ci sono frammentarie testimonianze di, nell'ordine: a) riti satanici; b) misteriosi parafulmini per «catturare» enormi quantità di energia elettrica; c) furti di cadaveri o parti di essi dai cimiteri circostanti. Poi, un bel giorno del 1734, con le immancabili circostanze misteriose, von Frankenstein morì e mai nessuno, almeno sembra, lo riportò in vita. Di storicamente certo c'è solo che, un'ottantina di anni dopo, una certa Shelley Mary, inglese, andò in vacanza sulle sponde del Reno. Nel 1814 trascorse alcuni giorni, facendo gite, nella cittadina di Gernsheim, che si trova, guardacaso, a 16 chilometri dal castello. La prima edizione di «Frankenstein», firmata da Mary Shelley, fu pubblicata nel 1818. In attesa del bicentenario della genesi dell'opera, che qualcuno colloca nel 1813, altri nel 1814, mezzo mondo è travolto dalla Frankenstein-mania. Fresche fresche di stampa sono da poco arrivate in libreria ben due edizioni di «Frankenstein»: una pubblicata da Piemme, collana «I classici del Battello a vapore», 12 euro, 430 pagine, l'altra di Giunti, 7 euro, 304 pagine. E poi saggi, studi, programmi televisivi e film per il cinema. Il primo a ipotizzare che la Shelley per il suo romanzo si fosse ispirata a fatti realmente accaduti è stato un docente di Storia del Boston College: il professor Radu Florescu. L'ipotesi è ancora oggi oggetto di dibattiti, sicuramente, comunque, il padre letterario di Frankenstein fu il romantico lord Byron. Non per niente il titolo completo dell'opera è «Frankenstein, o il moderno Prometeo», dove Prometeo è il simbolo dei romantici inglesi, nonché il poema che Byron scrisse, travolto da furiosa e poetica follia, sul rapporto tra umano e divino. Byron era ai tempi considerato, senza mezze misure: «cattivo, folle e pericoloso», non che oggi se ne pensi diversamente, ma tanto disse di lui una che ben lo conosceva: l'amante, Caroline Lamb. Byron non fu solo un poeta aristocratico e dissoluto, ma anche, nelle sue intenzioni, un Prometeo moderno, un intellettuale che voleva liberare l'umanità da ogni schiavitù intellettuale e morale. Ma, animato di tante buone intenzioni, si trasformò invece in una sorta di belva, pronta a qualunque efferatezza per soddisfare passioni che si stemperavano nella totale dissolutezza. Così Byron divenne modello del primo vampiro letterario, a questo pensò il suo medico, John Polidori, autore appunto del racconto «Il Vampiro», al quale si ispirò Bram Stoker per il suo Dracula. E divenne anche il «prototipo» del mostro per eccellenza della letteratura: «Frankenstein». Ci spiega tutto un libro, «Young Romantics» di Daisy Hay, non ancora giunto in Italia. Il testo racconta di Claire Clermont, sorellastra di Mary Shelley, amante respinta di Byron, la quale affermava «sotto l'influenza della dottrina e della fede nell'amore libero», di aver visto «i primi poeti d'Inghilterra diventare mostri di menzogne, crudeltà e tradimenti». Claire Clermont definì Byron: «Una belva umana assetata del dolore di donne indifese». La Clermont era giunta a queste conclusioni durante il famoso soggiorno a Villa Diodati, a Ginevra, nel giugno 1816, dove giunse indesiderata. Con lei c'erano Byron, Polidori, il poeta romantico e filosofo Percy Bysshe Shelley e la futura moglie Mary. Quello fu un giugno di vento e pioggia e Byron, per trascorrere le lunghe serate, propose delle sedute spiritiche, che furono intervallate da allucinazioni e possessioni. Agli amici, nonostante tutto ancora afflitti dalla noia, Byron propose di scrivere ciascuno una storia paurosa. Da quella sfida, scaturiranno «Il Vampiro» di Polidori e il «Frankenstein». Opere chiaramente suggerite dall'atmosfera demoniaca generata da Byron. Così il modello del «Vampiro» di Polidori, che interpretò in modo totalmente negativo il prometeismo byroniano, fu lo stesso poeta, come chiaramente indicano le fonti contemporanee e come confermano tutte le successive ricerche. Tra queste quella di Tom Holland, autore del romanzo di grande successo: «Il Vampiro, la storia segreta di lord Byron». Non solo. Come indicano «Young Romantics» e un'altro testo, «Monsters, Mary Shelley and the curse of Frankenstein», di Dorothy e Thomas Hoobler, Byron fu anche il modello del mostro della Shelley. La scrittrice, probabilmente, durante il suo soggiorno in Germania, venne a conoscenza della storia di von Frankenstein, che la impressionò fortemente. Accanto a Byron l'immagine psicologica dell'uomo che, in un impeto di arrogante follia, vuole mettersi sullo stesso piano di Dio, generando la vita, si è concretizzata, dando vita al romanzo, quello sì, veramente immortale.

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