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di DINA D'ISA Nel 1888, con già molte pubblicazioni alle spalle, Friedrich Wilhelm Nietzsche si trasferì a Torino, dove scrisse «L'anticristo», «Il crepuscolo degli idoli» ed «Ecce Homo» (pubblicato postumo).

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Forse,l'enorme sforzo creativo cui si sottopose negli anni precedenti, oppure una malattia venerea contratta in un incontro con una prostituta, ma più probabilmente, la presenza, fin dalla gioventù, del disturbo bipolare, che sarebbe infine degenerato in pazzia. Il 3 gennaio 1889 la sua prima crisi di follia si manifestò in pubblico: mentre si trovava in piazza Carignano, nei pressi della sua casa torinese, vedendo il cavallo adibito al traino di una carrozza fustigato a sangue dal cocchiere, abbracciò l'animale e pianse. Poi, Nietzsche, così corpulento e gigantesco com'era, cadde a terra pesantemente urlando in preda a spasmi. Annichilito nel riconoscere in quel cavallo-schiavo il destino feroce dell'uomo schiavizzato dalla società. In quello stesso periodo, Nietzsche scriveva delle lettere ad amici e conoscenti, che sono solitamente classificate sotto il nome di «biglietti della follia», dove la sua crisi mentale appariva ormai in uno stato avanzato. Liberamente ispirato a questo episodio che ha segnato la fine della carriera del filosofo, il film «The Turin Horse» di Bela Tarr (Il cavallo di Torino) racconta il percorso esistenziale di Nietzsche attraverso la chiave del famoso abbraccio al cavallo torinese che segna l'inizio della sua tragica follia. La trama si distaca poi dalla vita del pensatore tedesco per seguire quella del vecchio cavallo, unica fonte di reddito del suo padrone (un contadino) e di sua figlia, che vivono circondati dalla miseria. Tutto, in un'atmosfera di grande povertà che anticipa una sorta di fine del mondo (metaforicamente quello della cultura). Il film, annunciato come l'ultimo della carriera del grande regista magiaro, passerà martedì in concorso, in anteprima mondiale al 61° Festival di Berlino, diretto da Dieter Kosslick. Da quell'episodio, il filosofo resterà senza muoversi, muto, fino a quando pronuncerà - pare - le sue parole più drammatiche: «Madre io sono rimbecillito» (Mutter ich bin dumm). Vivrà ancora un'altra decina di anni in uno stato di semi-demenza. Ricoverato prima in una clinica psichiatrica a Basilea in cura dal dottor Wille, venne poi trasferito a Naumburg per esser assistito e curato dalla madre e dalla sorella Elisabeth Förster. Nietzsche trascorreva i suoi giorni in un mutismo quasi totale, passeggiando con pochi amici o suonando il pianoforte. In alcuni suoi frammenti teorizzava l'autodistruzione della reputazione tramite una follia volontaria come una forma di ascesi superiore. Il suo obiettivo era di smascherare la falsità e l'ipocrisia del sistema culturale su cui si fondava l'Europa dei suoi tempi e in particolare il mondo germanico. Per lui, la stessa storia dell'Occidente era un lungo processo di decadenza dell'uomo, come negazione della vita, mentre l'affermazione della libertà era invece il destino dell'uomo. Destino che dovrebbe essere perseguito attraverso l'esercizio della volontà di potenza e che condurrà l'uomo alla condizione di «Oltreuomo», in grado di oltrepassare se stesso. Per il film, tra i più attesi della kermesse, c'è già chi scommette che sarà anche tra i favoriti della giuria della Berlinale, presieduta da Isabella Rossellini e composta da Nina Hoss, Guy Maddin, Jan Chapman, Aamir Khan e Sandy Powell.

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