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Ha appassionato il pubblico «Sotto il sole di Roma», la fiction dedicata a Pio XII, il papa che attende la beatificazione e che è messo da anni in croce con l'accusa di aver assistito in silenzio alla deportazione degli ebrei.

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Eieri la seconda parte, che ha sottolineato la mediazione politica d'Oltretevere per evitare che la Capitale diventasse campo di battaglia tra Anglo-americani e tedeschi. Ma il punto più atteso della fiction è stata la «rilettura» cinematografica dei documenti sull'impegno del Pontefice a favore degli ebrei. Il professor Matteo Luigi Napolitano, autore di tre libri sulla figura di Pacelli (gli ultimi due firmati con Andrea Tornielli e al centro di dibattito) da storico valuta con favore la fiction. Con un unico appunto. «Un'imprecisione - dice - che riguarda il 16 ottobre 1943. Una principessa romana avvisa il Papa della razzia al Ghetto. La Santa Sede convoca subito l'ambasciatore tedesco. Ma a incontrarlo non va, come avviene nel film, Giambattista Montini, il futuro Paolo VI, allora giovane sostituto in Segreteria di Stato. Va in persona il cardinale Maglione. Insomma, è il "ministro degli Esteri" vaticano che chiama l'ambasciatore. E il colloquio sarà fermo e chiaro sulla posizione della Santa Sede, come emerge dai documenti. Maglione chiede a von Weizsäcker di intervenire "a favore di quei poveretti" e di sperare di "non dover essere messo nella necessità di protestare. Qualora la Santa Sede fosse obbligata a farlo, si affiderebbe per le conseguenze alla Divina Provvidenza". Ma l'ambasciatore non riportò correttamente a Berlino l'incontro, anzi riferì che la Santa Sede non avrebbe fatto opposizione alla razzia. Nasce anche da qui la tesi dei silenzi di Pacelli». Proprio questo snodo è uno dei punti della fiction duramente criticati dalla Comunità ebraica di Roma. Il mensile «Shalom» le dedica la copertina del numero di novembre titolando «Pio XII: per la Rai è già Santo». E il rabbino capo Riccardo Di Segni liquida il programma: «È una patacca propagandistica, un'opera apologetica piena di imprecisioni. Tra i tanti errori anche il falso, come la circostanza che l'intervento vaticano avrebbe fatto finire in anticipo la razzia del 16 ottobre. Non solo nessuno fermò i tedeschi, ma neppure tentò di farlo». Ribatte a Il Tempo Napolitano: «Il verbale del colloquio tra Maglione e von Weizsäcker fu confermato il 31 ottobre del 1943 dall'ambasciatore inglese in Vaticano, Osborne. Il diplomatico, non cattolico, chiese anche di riferire a Londra, ma dal Vaticano gli venne il suggerimento di farlo solo privatamente, non ufficialmente. Del resto Pio XII sapeva di dover muoversi con prudenza. Quando i vescovi olandesi protestarono per i rastrellamenti di ebrei, i nazisti aumentarono le retate. Pacelli, saputolo, si avvicinò al camino e gettò tra la brace la lettera in cui chiedeva di fermare quelle deportazioni, come riferisce una testimone, suor Pasqualina Lehnert. È un altro documento agli atti nella causa di beatificazione». Pacelli sapeva bene di rischiare di essere rapito e anche qui la fiction è precisa. Spiega Napolitano: «Disse: "Io non mi nuovo da Roma, vengano a prendermi". Un progetto tenuto in caldo fino al maggio '44. Fu il generale Wolfe ad avvertirlo, anche questo è documentato. Ed è anche girata negli ambienti vaticani una voce: che militari tedeschi sarebbero riusciti a entrare in Vaticano arrivando a poca distanza da Pio XII che stava passeggiando nei giardini. Spero se ne trovi conferma nei documenti dell'Archivio Segreto non appena saranno disponibili agli studiosi le carte sulla seconda guerra mondiale».

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