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All'indomani del primo conflitto mondiale, spentisi ormai gli ultimi spumeggianti fuochi della Belle Époque, le grandi capitali europee, Parigi e Berlino prima di tutte, furono ancora una volta centri privilegiati del rinnovamento culturale.

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Fragli artisti italiani che approdarono in quelle due città vi fu anche Antonio Valente - allora giovanissimo, poco più che ventenne (era nato a Sora nel 1894), ma già ben conosciuto e apprezzato nel mondo della scenografia e dello scenotecnica. A Parigi si inserì presto nel cenacolo degli intellettuali italiani che vi erano, come lui, sbarcati in cerca di emozioni e di successo - da Corrado Alvaro a Massimo Campigli e via dicendo - e si ritrovò a collaborare con il direttore del teatro Odeon, Firmin Gémier, con Raymond Bernard, il figlio di Tristan, e soprattutto con Jacques Copeau. Proprio per quest'ultimo ideò le scene per alcuni testi scritti da Antonio Aniante e rappresentati nel glorioso Vieux-Colombier fondato dallo stesso Coupeau nell'immediato anteguerra. Scenografo, Valente, ma non solo: la sua passione per il teatro e per ogni tipo di spettacolo si univa in lui - che sarebbe diventato uno dei più celebri architetti italiani del Novecento - a una grande sensibilità pittorica, testimoniata, sin da allora, dall'assidua presenza alle grandi mostre internazionali del tempo. Alla XIII Exposition des Artistes Décorateurs, che si tenne a Parigi nel 1920 egli presentò progetti di elementi di arredo caratterizzati da straordinari effetti compositivi e da una vivace ricerca di soluzioni cromatiche come dimostrano i suggestivi acquerelli esposti in quella occasione. Tre anni dopo, nel 1923, egli partecipò alla grande mostra berlinese del gruppo Der Sturm con una raccolta di disegni a carboncino e a pastello ispirati al tema della danza e nei quali gli echi, se non proprio l'influenza, delle ricerche del futurismo sul movimento sono evidenti. Del resto al futurismo, Valente fu vicino, tant'è che nel 1925, a Torino, prese parte a una delle più significative esposizioni di arte futurista insieme, fra gli altri, a Gerardo Dottori e ad Enrico Prampolini. Peraltro, in lui, a dire il vero, confluivano tutte le esperienze delle avanguardie. Negli acquerelli, nei pastelli, nei disegni a carboncino - molti dei quali sono ora visibili nella bella mostra dedicatagli a Roma presso la Sala Santa Rita - Valente, con una plasticità tutta sua riusciva a compendiare i risultati di una eccezionale stagione artistica europea passata attraverso il cubismo, il postcubismo e il futurismo alla ricerca di soluzioni estetiche nuove. Ma la vocazione pittorica di Valente - sottolineata dai sapienti accostamenti cromatici e dal gusto per le più raffinate soluzioni compositive - fu alla base anche della sua attività di scenografo e di costumista: sono celebri i bozzetti realizzati per la rappresentazione delle Butterfly al Teatro dell'Opera di Roma. Artista di grande versatilità, Valente ha legato il suo nome alla storia del teatro con l'invenzione del Carro di Tespi, antenato dei moderni teatri-tenda, che egli costruì nel 1928 per incarico del governo. Ma lo ha legato anche alla storia dell'architettura, con la realizzazione, per esempio, della spettacolare Sala dei Martiri creata nel 1932 per la mostra della Rivoluzione Fascista rimasta come uno degli esempi più belli di eleganza, sobrietà e severità architettonica di tipo celebrativo. È un esempio, la sua vita, di come l'avanguardia artistica, quando non è frutto di velleità, sia destinata a lasciare un segno profondo. Come fa ben vedere la mostra dedicatagli a Roma, nella città che egli tanto amò e dove visse fino alla morte avvenuta trentacinque anni fa, nel 1975.

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