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Netanyahu insiste sull'offensiva a Rafah, tensioni con il presidente Biden

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Cresce il pressing di alleati e mediatori su Israele e Hamas per arrivare a una tregua per Gaza e alla liberazione degli ostaggi prigionieri dal 7 ottobre nell'enclave. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu insiste con la linea dura, spingendo il presidente Usa Joe Biden e i suoi principali collaboratori, stando a fonti del Washington Post, sempre "più vicini alla rottura", non considerandolo più "un partner produttivo che può essere influenzato anche in privato". Ci sarebbe una "crescente frustrazione" da parte di Biden, che ha indotto alcuni suoi consiglieri a esortarlo a essere più critico pubblicamente nei confronti di Netanyahu. Biden, convinto sostenitore di Israele che conosce Bibi da più di 40 anni, è stato finora molto riluttante a rendere pubbliche le sue frustrazioni private, ma si starebbe "lentamente avvicinando all'idea", dopo i netti rifiuti alle richieste Usa.

 

 

Netanyahu, d'altra parte, insiste nel dire che non c'è alternativa al controllo di Israele su Gaza e all'operazione a Rafah, "l'ultimo bastione" di Hamas, dove si stimano ci siano 1,4 milioni di palestinesi fuggiti dal resto della Striscia. "Coloro che dicono che in nessuna circostanza dovremmo entrare a Rafah, in pratica dicono di perdere la guerra, di mantenere Hamas lì", ha detto Netanyahu in un'intervista a Abc News, respingendo i timori internazionali e sottolineando di aver ordinato alle forze di difesa "un piano dettagliato" per l'evacuazione, "garantendo un passaggio sicuro alla popolazione civile". La vittoria, si dice certo Netanyahu, "è a portata di mano". Biden, nel corso di un colloquio telefonico col premier, pur ribadendo l'obiettivo "comune di vedere Hamas sconfitto e di garantire la sicurezza a lungo termine di Israele e del suo popolo", ha rimarcato che "un'operazione militare a Rafah non dovrebbe procedere senza un piano credibile ed eseguibile per garantire la sicurezza e il sostegno a più di un milione di persone che vi si rifugiano". Il presidente Usa ha inoltre sottolineato la necessità di sfruttare i progressi compiuti nei negoziati per garantire il rilascio di tutti gli ostaggi il prima possibile e ha chiesto "misure urgenti e specifiche per aumentare il flusso e la consistenza dell'assistenza umanitaria ai civili palestinesi innocenti".

 

 

Secondo Hamas, un'eventuale offensiva di terra israeliana a Rafah farà "saltare" i negoziati per lo scambio di ostaggi. Mohammed Nizal, una figura di spicco del movimento palestinese, accusa Netanyahu di volere che la guerra continui per restare al potere e combattere "fino alle elezioni americane di novembre affinché vinca Trump". L'Egitto, tra i principali mediatori nei negoziati, per parte sua da un lato ha completato un muro di 14 km al confine con Gaza per evitare un esodo di massa dalla Striscia, dall'altro, stando al Wall Street Journal, ha avvertito Hamas che dovrà raggiungere un accordo di tregua con Israele entro due settimane, altrimenti Tel Aviv avvierà l'operazione a Rafah.

 

 

I raid israeliani sulla città comunque non si fermano, e 25 persone sono rimaste uccise nel bombardamento di una casa. Le Brigate Al-Qassam di Hamas, invece, hanno reso noto che gli attacchi nella Striscia hanno provocato l'uccisione di 2 ostaggi e il ferimento grave di altri 8, le cui condizioni stanno diventando sempre più critiche a causa dell'impossibilità di fornire loro le cure adeguate. I morti, secondo il ministero della Sanità di Gaza gestito da Hamas, sarebbero arrivati a 28.176, 67.784 i feriti. E non si placano neanche le tensioni nell'area. L'Iran ha celebrato il 45esimo anniversario della Rivoluzione islamica del 1979, con manifestanti che hanno bruciato bandiere statunitensi e israeliane e mostrato cartelli con le scritte "Morte all'America" e "Morte a Israele". Il presidente Ebrahim Raisi si è rivolto alla folla in piazza Azadi a Teheran invitando le Nazioni Unite a espellere "il regime sionista" e sottolineando che "i bombardamenti su Gaza devono essere fermati al più presto possibile".

 

 

Quanto al Mar Rosso, il Comando centrale degli Stati ha colpito due navi di superficie senza pilota e tre missili da crociera antinave a nord di Hodeidah, in Yemen. Il Centcom ha affermato di aver identificato i target nelle aree controllate dagli Houthi e di aver stabilito che rappresentavano "una minaccia imminente". L'Italia, invece, ha assunto il comando tattico dell'operazione dell'Unione europea Eunavfor (European Naval Force) Atalanta. La cerimonia di passaggio di consegne si è svolta nel porto di Gibuti. Un momento dal "significato rilevante", secondo il ministro della Difesa Guido Crosetto, "la regione del Mar Rosso, a seguito della minaccia e degli attacchi Houthi, ha reso centrale quest'area nel panorama geostrategico e geopolitico per l'Unione europea. La decisione dell'Ue di avviare una nuova missione nel Mar Rosso per proteggere le rotte commerciali ne è la conferma. All'Italia è stato chiesto di fornire il Force Commander dell'operazione Aspides. Si tratta di un ulteriore riconoscimento del lavoro svolto dal Governo, dalla Difesa e dalla Marina militare, il nostro impegno in queste missioni sottolinea la determinazione dell'Italia a contribuire attivamente alla pace e alla sicurezza internazionale".

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