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Medio Oriente, scenari inquietanti: "È già guerra regionale", cosa ci aspetta

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I raid di Stati Uniti e Gran Bretagna contro gli Houthi in Yemen, l'attesa di una rappresaglia del gruppo armato sempre più potente, il ruolo dell'Iran contro Israele dopo l'attacco dei palestinesi di Hamas del 7 ottobre: non ha più senso parlare di un rischio di un allargamento del conflitto in Medio Oriente, perché quella che si sta combattendo «è già una guerra regionale». È la convinzione condivisa da analisti e osservatori in alcuni dei Paesi interessati dalla crisi, pur sottolineando che non siamo ancora al peggiore degli scenari possibili - un coinvolgimento diretto dell’Iran o un conflitto vero e proprio tra Israele e gli Hezbollah - ma a una guerra a un’intensità relativamente bassa. E questo perché, spiegano all’Adnkronos fonti in un Paese della regione, «è difficile dire se l’Iran», a capo del coordinamento strategico del cosiddetto ’Asse della resistenza', di cui fanno parte anche gli Houthi, «vuole un’escalation o vuole prevenirla». «I segnali che manda andrebbero in questa seconda direzione», se non fosse che, secondo la valutazione del regime a Teheran, è Israele che continua a spingere per l’escalation. E a fronte dell’«aggressività nemica l’Iran non può dimostrarsi passivo, per non incoraggiare ulteriormente Israele e per non proiettare un’immagine di debolezza», è l’analisi delle fonti. Intanto si aspetta la rappresaglia degli Houthi, «che sono militarmente molto cresciuti», grazie alle armi sofisticate fornite da Teheran e le cui capacità, come ha detto in un’intervista all’Adnkronos l’analista yemenita Farea al-Muslimi, research fellow presso il Programma Medio Oriente e Nord Africa di Chatham House, non sarebbero che state scalfite in raid che definisce solo «simbolici».

 

Gli Houthi hanno resistito per otto anni ai bombardamenti dell’Arabia Saudita e degli Emirati arabi uniti e «non sono riusciti a metterli in ginocchio», sottolinea Gregory Johnsen, dell’Arab Gulf States Institute di Washington, secondo il quale con i raid Londra e Washington, e più in generale gli alleati occidentali, hanno voluto «mandare un messaggio, ma la questione chiave è: se il messaggio non passa, quale sarà il prossimo passo? Raid su più obiettivi? Raid più lunghi?». Gli Houthi, fa eco Nadwa Dawsari, esperto del Middle East Institute, «aspettavano disperatamente da 20 anni il confronto con l’America e con Israele. Dal 7 ottobre hanno reclutato 45mila combattenti, oggi Stati Uniti e Regno Unito hanno fatto diventare realtà il loro sogno» di uno scontro diretto. In realtà quello che potrebbe avvicinarsi ancora di più è lo scontro diretto con l’Iran: fonti dell’amministrazione Biden, il cui primo obiettivo resta comunque quello di evitare una guerra regionale, hanno detto di non avere avuto altra scelta, dopo che la diplomazia, i contatti riservati e le minacce non sono riusciti a fermare gli attacchi degli Houthi di queste settimane. Dietro cui, non hanno dubbi, c’è Teheran: «L’Iran è stato coinvolto da un punto di vista operativo. Hanno fornito informazioni e intelligence agli Houthi e le capacità usate» negli attacchi contro le navi nel Mar Rosso.

 

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