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Re Carlo va in Kenya e scatena i critici sulle scuse per il colonialismo

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Alla fine il re non lo ha fatto: non si è tolto la corona e non si è cosparso il capo di cenere. Il gesto che da Carlo molti attivisti britannici attendevano, di riconoscere le colpe del colonialismo ed esternare pentimento a nome del Regno Unito, non è arrivato. In un discorso a Nairobi durante la sua visita di Stato in Kenya, infatti, il sovrano si è limitato a esprimere semplicemente il proprio «grande dolore e rammarico per le cattiverie» dell’Impero britannico durante la lotta per l’indipendenza del Paese africano, senza tuttavia scusarsi formalmente per gli abusi coloniali. «Le malefatte del passato sono causa del più grande dolore e del più profondo rammarico», ha detto Re Charles, augurandosi di sperare di «incontrare alcuni di coloro le cui vite e comunità sono state così gravemente colpite» dagli abusi del passato, tuttavia prendendo, dal momento che non si è scusato formalmente, in qualche modo le distanze da fatti come la rivolta dei Mau Mau, nella quale migliaia di persone furono uccise e torturate negli anni ‘50, prima dell’indipendenza di cui quest’anno ricorre il 60esimo anniversario. 

 

 

D’altronde, le scuse formali devono essere decise dai ministri del governo, non dal re. E il presidente del Kenya William Ruto ha comunque elogiato il coraggio di Carlo nell’affrontare tali «verità scomode». Il capo di Stato keniano ha detto al monarca che il dominio coloniale è stato «brutale e atroce nei confronti del popolo africano» e che «resta ancora molto da fare per ottenere riparazioni complete». Un campanello d’allarme che dev’essere risuonato molto forte nelle orecchie del sovrano. Che, se ha effettivamente fatto ammissione degli errori del colonialismo, ha anche sicuramente capito che le scuse aprirebbero le porte ai risarcimenti.

 

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