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Putin tra retorica e minacce: il discorso dello Zar

Pietro De Leo
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Trasformarsi da Grande Aggressore a Grande Assediato. È l’espediente politico-retorico cui Vladimir Putin ha fatto ricorso, parlando alla Duma riunita e a tutta la Russia, ad un anno dall’invasione in Ucraina. Quasi due ore di discorso, una lunga mozione ideologica a sostegno dell’offensiva mossa contro Kiev. Una prolusione, quella del Presidente russo, che è parsa rivolgersi più alle opinioni pubbliche che ai governi. Opinioni pubbliche, sì al plurale. Interna, certamente, ma anche dei Paesi occidentali.

A quest’ultime, infatti, sembra rivolgersi quando, nella fase finale del discorso, annuncia la sospensione, da parte della Russia, della partecipazione al trattato New Start sulle armi nucleari: «Non usciamo dall'accordo, ma sospendiamo temporaneamente la nostra partecipazione», ha detto. Poi, a sera, il ministero degli Esteri russo, in un comunicato diffuso dall’agenzia Interfax, precisa che «la Russia intende adottare un approccio responsabile e continuerà a rispettare strettamente le restrizioni sulle armi strategiche offensive per tutta la durata del trattato».

Uno stringere e allentare, anche sul piano della retorica destinata a rimbalzare di tv in tv, di smartphone in smartphone, come più volte è avvenuto durante questo anno drammatico. Sventolare il pericolo dell’escalation nucleare, rendendolo un miraggio potenzialmente destinato a materializzarsi, sotto il naso di popolazioni come le nostre, non più avvezze a subire una guerra, maturate nell’irripetibilità degli incubi del ‘900 e del male assoluto. Almeno per ora, è un bruttissimo artificio e niente di più. E lo spiega il Generale Vicenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare e della Difesa, all’Adnkronos. La sospensione, dice, è un «atto di valenza politica che però non credo avrà conseguenze immediate».

E comunque, la puntualizzazione diffusa ieri sera rende tutto ancor più fumoso. Così come c’è un altro punto notato da Anton Gerashenko, consigliere del ministro dell’Interno Ucraino, in un post su Telegram: Putin non ha parlato di nuova mobilitazione. Rassicurante? Non a sufficienza, considerando che più di un documento d’intelligence ha dato conto di operazioni di raduno uomini e mezzi che potrebbe essere funzionale ad una nuova offensiva. Ma è comunque un elemento. Proseguendo nel messaggio «esterno», poi, c’è un passaggio del discorso sulle sanzioni che non può essere trascurato. Putin rivendica la capacità di resistenza dell’economia russa alle penalizzazioni di tipo economico messe in campo dall’Occidente. E anzi, rincara: «Gli autori delle sanzioni si stanno autopunendo: hanno provocato aumenti dei prezzi, chiusura di impianti, perdite di posti di lavoro, una crisi energetica nei loro stessi Paesi. E poi dicono ai loro cittadini che la colpa è comunque dei russi».

Una mossa politica, anche questa. Non è un mistero che, per quanto al momento paiono non concretizzarsi i rischi di recessione, le economie europee hanno subito i contraccolpi dell’inflazione, accelerata dagli sconquassi su energia e materie prime derivanti dalla guerra. E questo ha acuito la «stanchezza» diffusa verso il protrarsi della crisi bellica. Poi c’è tutto il filone «interno» affrontato da Putin. Dove lo schema ideologico è quello collaudato sin dall’inizio dell’invasione: la Russia è assediata dagli Stati Uniti e dalla Nato, dunque la guerra in Ucraina diventa ultimo baluardo per la difesa del destino finale di un popolo. Schema tipico delle dittature. «L’Occidente sta usando l’Ucraina sia come ariete contro la Russia, che come campo di addestramento». Un’offensiva orchestrata dalle «elite occidentali» (concetto, questo, che ricorre più volte). E che non è soltanto virtualmente militare, ma anche culturale.

Qui Putin, ripercorrendo un «topos» anche più volte gettonato in questi mesi dal Patriarca russo Kyrill ha puntato il dito sulla decadenza valoriale dell’Occidente, esasperandola. «Guardate cosa stanno facendo con i loro stessi popoli – dice accusando sempre le élite - la distruzione della famiglia, dell’identità culturale e nazionale, la perversione, l’abuso sui bambini, fino alla pedofilia sono dichiarate la norma della loro vita. Il clero, i sacerdoti sono costretti a benedire i matrimoni tra persone dello stesso sesso».

Un quadro che concretizza un imperativo: «Noi siamo obbligati a proteggere i nostri figli, e lo faremo: proteggeremo i nostri figli dal degrado e dalla degenerazione». Ampio poi è il passaggio in cui si concentra su quei comparti sociali che, direttamente, sono coinvolti nella guerra. Sa che la carneficina cui ha spinto il suo esercito falcia spesso militi poco o male addestrati. Sa che le difficoltà logistiche, nel corso dei mesi, hanno peggiorato le condizioni sulle linee di combattimento aumentando le difficoltà. E riconosce che queste criticità sono «tutt’altro che risolte». Per questo, si dilunga in ringraziamenti ed espressioni di vicinanza in una logica molto inclusiva. A chi combatte, certo. Ma anche agli insegnanti, agli «esponenti della cultura», persino ai sacerdoti che assistono le truppe e ai giornalisti, «soprattutto corrispondenti di guerra».

Teorizza poi il rafforzamento degli strumenti economici a supporto delle famiglie dei caduti. A proposito di economia, c’è un avviso ai naviganti, tutt’altro che rassicurante. Putin disegna i contorni di una sorta di mercato globale parallelo con partner orientali attraverso cui (ma questo è tutto da vedere) avviare una nuova fase di crescita.

Tra i vari Paesi amici cita, ovviamente, la «Cina che, tra l’altro, amplierà in modo significativo i nostri legami economici sul Sud Est asiatico». Un processo già in corso. Proprio Pechino, nostro partner nel WTO, è stato tra quei Paesi che ha consentito alla Russia di beneficiare, fin qui, di una «rete di protezione economica» che ha ridotto, di molto, gli effetti delle sanzioni su Mosca. 

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