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Cina, esplode la rabbia per i lockdown: "Xi Jinping dimettiti"

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Si estendono in Cina le proteste contro le misure anti covid del governo, e in alcuni casi gli slogan puntano direttamente ai vertici del potere. La gente e soprattutto gli studenti sono scesi in piazza a Pechino, Shanghai e Nanchino. La rivolta è iniziata a Urumqi, nel nord ovest del Paese, dove giovedì scorso dieci persone sono morte nell’incendio della casa in cui erano confinate per le politiche zero Covid. Inoltre anche i soccorsi sarebbero stati ritardati dalle restrizioni.

La folla è scesa in piazza cantando "fine del blocco" e alzando i pugni in aria. Le autorità locali venerdì sera si sono scusate e hanno promesso di "ripristinare l’ordine" rinunciando alle restrizioni. E le foto delle vittime sono state esibite online e nelle veglie organizzate per commemorarle nelle università di Pechino e Nanchino. "Xi Jinping dimettiti" e "Partito comunista lascia il potere" sono fra gli slogan delle proteste di Shanghai. Altri manifestanti hanno fatto sventolare la bandiera cinese e intonato l’inno nazionale i cui versi "insorgi! insorgi!" possono essere letti come segno di patriottismo ma anche come l’espressione di solidarietà con i cinesi colpiti dalle politiche del ’zero covid’ di Xi.

La Cina è alle prese con un nuovo rialzo dei contagi da Covid ma i numeri non sembrano giustificare la stretta dei divieti. La Commissione sanitaria nazionale ha comunicato 39.791 casi rilevati, di cui 36.082 sono asintomatici, in un paese sterminato come quello cinese. I contagi registrano una incidenza maggiore in aree come Canton, Pechino o Chongqing. In tutto il Paese ci sono oltre 320mila le persone isolate sotto osservazione medica. A Shenzhen le autorità hanno dichiarato che limiteranno al 50% la capienza dei ristoranti e di altri locali al coperto come misura di prevenzione della nuova crescita dei contagi da Covid. Inolte i nuovi arrivati nella città non potranno entrare in luoghi come teatri e palestre per i primi tre giorni della loro permanenza.

 

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