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Russia, Nabiullina dice basta a Putin: rassegnate le dimissioni, terremoto a Mosca

Giada Oricchio
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Elvira Nabiullina, la potente presidente della Banca centrale russa, avrebbe dato le dimissioni e Vladimir Putin si sarebbe riservato di accettare. Dopo aver dichiarato la mobilitazione parziale dei civili per fare fronte all'efficace controffensiva della resistenza ucraina, il leader del Cremlino deve gestire il malcontento di una parte di fedelissimi contrari all'interventismo dei falchi. Come anticipato dal canale Telegram General SVR due giorni fa, Nabiullina aveva minacciato di lasciare se Putin avesse dichiarato la mobilitazione, un gesto prodromico a un'escalation militare nell'invasione dell'Ucraina. A quanto pare, l'economista è stata di parola. Si legge nel post dell'account: "Il 3 ottobre il presidente russo Vladimir Putin valuterà le dimissioni del presidente della Banca centrale russa, Nabiullina, e di due membri del governo. Adesso la domanda principale è se il presidente deciderà di cambiare l'intero governo e di avviare il cambiamento".

 

 

Sono ore complicate a Mosca: gli uomini, niente affatto desiderosi di combattere la guerra dello "zar", stanno scappando in massa verso i Paesi balcanici, le cui frontiere sono prese d'assalto, mentre la popolazione è scesa in piazza a protestare a costo di essere manganellata e portata via di forza dalla polizia (800 finora gli arrestati). Una reazione sottovalutata da Putin che non sarebbe soddisfatto del reclutamento.

 

 

Si legge in un post di General SVR: "Il Presidente è informato dei numerosi problemi sorti durante l'attuazione del decreto sulla mobilitazione, del gran numero di persone che tentano di eludere il reclutamento, dell'esodo massiccio di uomini in età militare all'estero e di un forte calo del livello di fiducia nella Presidente (indagine UST)". In una riunione a porte chiuse, il presidente della Federazione russa ha annunciato la necessità di introdurre la legge marziale in un certo numero di aree di confine (quelle a più rischio fuga) e di vietare il diritto all'espatrio agli uomini in età militare.

 

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