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Emmanuel Macron preso a schiaffi: un ceffone della plebe al presidente che si sente re

Alessandro Giuli
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Ma che spettacolo increscioso, quale ironia senza pari, vedere Emmanuel Macron preso a schiaffi da un gallo della tribù degli Allobrogi, trapiantato direttamente dalla tribù di Asterix nella dolcissima, collinosa e ronda Drôme, al grido di «A bas la Macronie», secondo nome di una tirannia immaginaria inaugurata dal bizzoso presidente francese che nel 2018 improvvisò una fragorosa ramanzina al ragazzino che aveva osato chiamarlo «Manù». Ricordate? L'inquilino dell'Eliseo era sul Mont -Valérien, un'altra collina nel dipartimento degli Hauts-de-Siene, in occasione del settantottesimo anniversario dell'appello lanciato dal generale Charles de Gaulle da Londra contro il nazifascismo. Appuntamento assai solenne, con bagno di folla finale (Macron adora i bagni di folla, purché la folla venga debitamente selezionata): un giovane gli si rivolse in tono confidenziale - «Come va Manu?» - e lui la prese malissimo: «Non sono un tuo amichetto! No, no, no... Sei in una cerimonia ufficiale e ti comporti come si deve. Quindi puoi pure fare lo scemo, ma oggi c'è la Marsigliese e il canto della Liberazione. Mi chiami Monsieur le Président de la République oppure Monsieur. D'accordo?». Nemmeno Napoleone Bonaparte avrebbe infierito con tale sprezzatura su un proprio concittadino, invece Manù decise di costruire su quell'episodio un saggio di pedagogia a buon mercato, con tanto di citazione giacobina fuori contesto: «Fa le cose nell'ordine giusto. Se un giorno vuoi fare la rivoluzione, prima prenditi una laurea e impara a mantenerti da solo, poi vai a dare lezioni agli altri».

 

 

Ecco, a distanza di tre anni, all'uscita dalla scuola alberghiera di Tain-l'Hermitage, la dea Nemesi si è manifestata al cospetto di Macron nella mano pesante di un judoka, con qualche probabilità un veterano dei controversi Gilet gialli che sfidarono la prima transizione ecologica europea, rifilando un ceffone sonoro alla superbia di un re senza corona ma con un ego quantomeno imperiale. Un atto di vilipendio che costerà caro al colpevole, e forse pure a un suo sodale, di cui si favoleggia l'origine a metà tra l'anarco-insurrezionalista dilettante e il monarchico inconsolabile. Chissà. Manù s'era avvicinato alle transenne comme d'habitude, ma il servizio d'ordine presidenziale deve aver sopravvalutato il carisma repubblicano. Secondo alcuni testimoni, in effetti, lo schiaffeggiatore avrebbe urlato il motto dei nostalgici realisti, il grido di battaglia dei Capetingi regnanti nella terza dinastia francese: «Montjoie! Saint-Denis!». Dopodiché il gesto liberatorio e temerario, la madre di tutte le sfide, sotto gli occhi esterrefatti della Gendarmeria nazionale, mentre il gorilla personale di Macron s'incaricava di allontanare la guancia offesa dalla scena del crimine.

 

 

Certo De Gaulle avrebbe fatto fucilare il reo sul posto. Ma a De Gaulle, a pensarci bene, non sarebbe mai capitato. Nel secolo scorso il fattaccio avrebbe senz'altro suscitato il riso canagliesco di André Breton e dei suoi mirabili compari surrealisti: drôle de France! Più modestamente, dalle nostri parti si giudica doveroso esprimere una disincantata solidarietà alla nostra cara Sorella latina, alla Francia oltraggiata cui è toccato in sorte di farsi rappresentare dal signore che ha aperto l'Eliseo alla festa della musica rap circondandosi di ballerini nudi e sudaticci, senza disdegnare una sequenza di foto imbarazzanti ripetute di lì a poco, in un analogo episodio, sull'isola caraibica di Saint Martin. È la voluttà del potere che accorcia le distanze con la gente, e che gente, si disse allora, immaginando che in Macron si dovesse riconoscere l'effigie popolare e gender fluid al passo coi tempi nostri. A patto di non chiamarlo Manù, ovvio... Così sembrava, dunque, per lo meno fino a ieri, quando la prima guancia della République ha conosciuto il bruciante contrappasso, l'umiliazione inimmaginabile: lo schiaffo della plebe per conto del trono.

 

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