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"Il male inutile", le guerre dimenticate viste con gli occhi del reporter

Timor Est, 1999 (foto Massimo Sciacca da

Da Timor Est all'ex Jugoslavia: il racconto di Marco Lupis dai fronti caldi tornati nell'oblio

Davide Di Santo
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Il Male Inutile (di Marco Lupis, Rubettino - Collana Storie, pp. 220, euro 15) raccoglie le testimonianze di guerra di un reporter "di lungo corso", inviato speciale e corrispondente in molte aree difficili del Pianeta. Tragedie che troppo spesso, nel frenetico flusso mediatico dell'informazione, vengono rapidamente e colpevolmente archiviate, anche se si collocano dietro l'angolo dell'attualità e della Storia. L'operazione fatta da Marco Lupis, a lungo anche inviato de Il Tempo in giro per il mondo,  in questo libro non è soltanto “memoria” di fatti terribili, di guerre e massacri più o meno dimenticati, ma è anche un preciso atto di denuncia affinché quelle ingiustizie e quegli orrori non vengano affidati all'oblio. Per questo, scrive nella prefazione Janine di Giovanni – una delle più celebri corrispondenti di guerra dei nostri tempi con la quale Lupis ha vissuto fianco a fianco nell'inferno di Timor Est - “C'è bisogno di libri come questo. Di libri scritti da quelli che hanno fatto un lavoro come il nostro. Che non soltanto consiste nel raccontare– sui giornali, alla televisione o alla radio – le atrocità commesse dal lato più orribile della natura umana mentre queste accadono, ma anche nel non permettere che quegli orrori vengano dimenticati”. Il Male Inutile è però al tempo stesso anche confessione di vita dell'autore, biografia “intima” delle difficoltà e dei drammi personali che – come testimone di quei fatti terribili – il reporter Lupis ha dovuto affrontare e- in qualche modo – risolvere con la sua coscienza in tanti anni di lavoro “sul campo”. Fino a quando, ormai smesso il giubbotto antiproiettile, si è trovato a dover fare i conti con una diagnosi di Sindrome da Stress Post-traumatico che rischiava di rendere la sua vita e la vita di quelli che gli stavano accanto, difficile da sopportare. Di famiglia aristocratica Lupis, come è stato scritto di lui e del suo lavoro, “alle blasonate stanze sembra aver preferito i precari alloggi dell'inviato speciale; alle frequentazioni altolocate, gli incontri nella giungla messicana con il rivoluzionario Marcos o con le madri-coraggio cilene mai arrese nel voler sapere il destino dei loro figli desaparesidi all'epoca di Pinochet”. Perché – come ha scritto Maurizio Blondet, un altro suo collega e compagno di reportage “difficili: Marco Lupis è uno che ho visto lavorare: sul campo. Spesso, per le rispettive testate per le quali lavoravamo, abbiamo raccontato di violenze tremende, dormito per terra, rischiato più volte la vita e – inevitabilmente direi – siamo diventati amici. Così mi sono reso conto molto presto che Marco Lupis sapeva quello che faceva. E quello che scriveva.”

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