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Berlusconi, per Mediaset rumors di vendita: il titolo vola in Borsa

Filippo Caleri
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Non sempre quando scompare il patron di una grande azienda quotata in Borsa le azioni crescono di valore. Il caso di scuola è la Fiat. Il giorno della scomparsa dell’avvocato Agnelli, il 24 gennaio 2003, le azioni del Lingotto chiusero in calo dello 0,76% a un prezzo di riferimento di 8,096 euro. Una giornata che vide un rialzo per gli scambi da record: passò di mano più dell’1,5% del capitale ordinario Fiat per un controvalore di oltre 56,5 milioni di euro. Ma il trend rimase negativo. Il 27 gennaio lo stesso titolo chiuse a 7,956 con un-4,86%. Insomma la speculazione opera nei primi istanti, sull’onda emotiva della notizia. Poi, se non si appoggia su dati oggettivi, si sgonfia. Cosa che non sta succedendo, invece, per il titolo Mfe, Media for europe, la holding, erede del Gruppo Mediaset, oggi società di diritto olandese e della quale la Finivest di Berlusconi ha il 48,6%, Simon fiduciaria il 18,5% e Vivendi il 4,4%. Dal primo ricovero del Cavaliere al San Raffaele di Milano il 5 aprile scorso, l’azione Mfe ha iniziato un ciclo di crescita, tra picchi e ribassi, costante. In particolare quelle denominate B (che danno diritto a dieci voti in assemblea) sono passate da 66 a 76 centesimi (+15%). Mentre le A che valgono un voto nell’assise dei soci sono cresciute da 0,44 euro a 0,57 con uno stacco di quasi il 30%. Una corsa che si è ovviamente accentuata ieri, il giorno della scomparsa di Berlusconi, Mfe B ha fatto +7,31% mentre Mfe A ha segnato un rialzo finale del 13,39%. Bene anche le altre quotate della galassia Berlusconi: Mondadori (+1,54%) e Banca Mediolanum (+ 0,39%).

 

 

Dunque qualcosa si muove, mani forti stanno prendendo posizione cosiddetta lunga, ovvero chi ha comprato pensa che qualche operazione sul capitale sia probabile. A motivare gli acquisti le indiscrezioni che, già da qualche tempo, danno nelle mani di un istituto finanziario londinese un mandato esplorativo per trovare nuovi soci da inserire nella compagine azionaria. O comunque soggetti che potrebbero partecipare a un riassetto della galassia Mediaset rilevando la maggioranza. Per ora solo congetture. Le ipotesi sul campo sono a geometria variabile e potrebbero andare da una uscita definitiva della famiglia, a una presenza con capitale di minoranza o a una soluzione ponte con un tempo predefinito per l’uscita dei Berlusconi. Tra i nomi dei possibili interessato c’è quello di Vivendi, con il 4%, quota rimasta in pancia dopo la fallita scalata di qualche anno fa. Ma non solo a Parigi si guarda. Qualche analista cita anche la possibile discesa in campo di altri gruppi editoriali internazionali come Discovery. E lo scorso mese si era parlato di un possibile interessamento del capo di Rcs Urbano Cairo, considerato uno degli eredi naturali del Cavaliere nel business. Gli analisti di Equita hanno spiegato però che «sarà importante verificare i nuovi assetti in Fininvest» la cassaforte di famiglia controllata attraverso sette holding, alla luce di quelle che saranno le disposizioni testamentarie. Una cosa è certa. La fortuna di Mediaset è stata legata, nel bene e nel male, alla politica. Ora mentre Berlusconi ha sempre avuto un accesso privilegiato ai decisori politici anche quando era all’opposizione, non così facile sarà per gli eredi Marina e Piersilvio, cercare sponde se l’azienda finisse nel mirino di qualche predatore industriale o finanziario. Dunque anche se oggi il centrodestra al potere può essere considerato una garanzia, l’ingresso di un socio potrebbe consentire alla famiglia di costruire una barriera difensiva.

 

 

L’idea che prevale a Piazza Affari è che chi rileverà il controllo di Mfe-Mediaset dovrà farlo d’accordo con l’esecutivo. Anche se il potere televisivo è oggi notevolmente ridimensionato, una certa fetta di pubblico, che pesa dal punto di vista elettorale, è ancora raggiungibile col vecchio tubo catodico. Così qualche esperto immagina anche un possibile esercizio del golden power per mettere in sicurezza la tv tricolore. Il grimaldello ci sarebbe con il potere concesso all’Agcom di intervenire in caso di scalata se l’operazione incidesse negativamente sul pluralismo informativo. Per mettere a tacere le indiscrezioni, Fininvest, in una nota, ha affermato «che continuerà a gestire il patrimonio con assoluta continuità». Anche Massimo Doris, ceo di Banca Mediolanum ha sottolineato ieri che «Berlusconi non ha mai voluto intervenire nelle questioni manageriali e che non dovrebbero esserci cambiamenti nell’azionariato». Acqua sul fuoco. Ma la partita è appena agli inizi.

 

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