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La globalizzazione moderna ha fallito il suo scopo: non ha protetto le fasce più deboli

Joseph Grosso - Ceo Zephiro Investment
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L'approccio della globalizzazione post anni ‘80, che ha prodotto tassi di crescita continui, ha visto una battuta d'arresto durante la pandemia del 2020, con la paralisi della supply chain che continua a produrre ritardi ed incremento dei costi di produzione, ulteriormente aggravati dall'attuale lockdown duro di Shanghai, maggiore porto di transito per le merci in partenza dalla Cina. Le misure di stimolo all'economia, con l'immissione di straordinarie risorse monetarie, non sono riuscite a mantenere il livello dei consumi, ingenerando uno stock di moneta in eccesso che non è ancora stato riassorbito. Tutto ciò, accoppiato con l'incremento dei costi, ha prodotto un'inflazione incontrollata che rischia di rimanere nel medio periodo. Inoltre, la guerra in Ucraina ci ha nuovamente mostrato come l'interdipendenza eccessiva con Paesi stranieri, soprattutto sulle risorse strategiche, sia il tallone d'Achille dell'attuale sistema di economia globalizzata. La «globalizzazione moderna» ha fallito il suo scopo, almeno nella sua prima iterazione, ovvero gli aspetti negativi dell'interdipendenza tra i Paesi hanno superato i fattori positivi, che sono indubbi e per questo da preservare.

 

 

La globalizzazione deregolamentata non è riuscita a proteggere tutte le parti sociali dalle disparità che si sono ingenerate; non è riuscita a preservare il livello di produzione e movimentazione di beni; non ha prodotto una redistribuzione della ricchezza top-down, ma invece una concentrazione di risorse in poche «corporate giants» in grado di influenzare economicamente le scelte locali e dissociare lecitamente i luoghi di produzione della ricchezza dai luoghi di tassazione della stessa. Non possiamo però immaginare un futuro per il sistema economico, che prescinda dalla mondializzazione dell'economia. La facile tentazione di ricadere in un nazionalismo protezionista esasperato rischia di vanificare decenni di integrazione che hanno avuto ricadute positive indiscutibili. Il detto «dove non passano le merci, passeranno gli eserciti» rimane valido, per cui alzare muri protezionistici è anacronistico nell’epoca aurea della digitalizzazione e della libera circolazione delle idee. L'Italia ha più subito che tratto vantaggio da questo primo ciclo di globalizzazione, almeno per i primi due terzi del periodo. Siamo tra quei Paesi che hanno maggiormente vissuto gli squilibri sociali di un percorso di delocalizzazione produttivo, che ha drasticamente ridotto la presenza dei grandi gruppi industriali sul nostro territorio. Inoltre, tra i paesi del G7, siamo quello che ha visto il maggior flusso migratorio in uscita, una diaspora di giovani talenti, la cosiddetta fuga dei cervelli, che a seguito della riduzione delle opportunità lavorative nel Paese, hanno seguito inizialmente la rotta Sud-Nord e poi Italia-estero, in cerca di opportunità che il loro luogo di origine faticava ad offrire.

 

 

Oggi si apre invece una nuova opportunità per cavalcare questo nuovo auspicabile ciclo di rinnovamento del movimento di globalizzazione, e posizionarsi felicemente tra coloro i quali hanno tutto da guadagnare. Ad esempio, interpretando bene il trend della re-localizzazione: le Pmi Italiane possono ritornare centrali nella supply-chain Europea, grazie al nostro eccellente know-how sull'automazione industriale di alta qualità, con impianti produttivi puliti, flessibili, automatizzati e connessi. Inoltre, grazie al fenomeno dello smart-working, che è qui per restare, i giovani talenti italiani potranno cogliere opportunità interessanti e gratificanti, presso le aziende che maggiormente li valorizzano, senza doversi necessariamente allontanare dal Paese, invertendo quindi la tendenza alla contrazione demografica e contribuendo alla redistribuzione dal basso della ricchezza, tramite i consumi locali e la tassazione sul reddito, anche in zone a scarsa densità o desertificazione industriale. Diventa dunque necessario ripensare la globalizzazione: la sostenibilità deve rappresentare il perno centrale di questo nuovo cammino, affinché le scelte non siano guidate unicamente da fattori economici, ma dal giusto profitto a condizione che l'equazione della sostenibilità sia in equilibrio. Dobbiamo agire rapidamente per tutelare la crescita dell'economia mondiale a favore delle generazioni future.

 

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