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Bollette in aumento, il governo faccia lo scostamento di bilancio subito

Riccardo Mazzoni
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Partiamo da un mistero poco gaudioso: nel 2008, in mezzo a una crisi finanziaria spaventosa, il petrolio arrivò fino a 186 dollari al barile, la benzina costava 1,380 euro e il gasolio 1,344. Il 19 marzo scorso, col prezzo del barile che dopo una fortissima impennata all'inizio del mese era sceso sotto quota cento, benzina e gasolio costavano invece più di due euro, tanto da far dire al ministro Cingolani che è inaccettabile questo vertiginoso aumento causato da una marcata speculazione sui mercati senza concrete motivazioni tecniche. Il ministro si riferiva anche al prezzo del gas, una materia prima scambiabile attraverso futures e derivati, con un prezzo finanziario disancorato dallo scambio materiale di energia.

Il gas si quota insomma come le azioni di una società, che salgono e scendono secondo logiche diverse da quelle industriali. Questo è il quadro che gli italiani alle prese con carburanti e bollette alle stelle hanno già purtroppo ben noto. L'aumento del costo energetico porta con sé l'incremento dei costi di produzione e trasporto che si riflettono sul prezzo finale dei prodotti, e questo provoca la contrazione dei consumi: una miscela altamente esplosiva per le economie liberali. Nel frattempo si avvantaggiano le big energetiche per gli extra profitti, e prospera la finanza speculativa.

La domanda allora è: il governo sta facendo tutto il possibile per fermare una spirale così drammatica per la nostra economia? La riduzione di 25 centesimi del prezzo di benzina e gasolio, oltre a essere poco più che simbolica, perché l'effetto finale sui prezzi al consumo è molto inferiore agli aumenti registrati, è valida per un solo mese, con i distributori di carburante, peraltro, che rischiano un salasso a causa delle accise che hanno già pagato sulle giacenze.

Ma senza un intervento davvero strutturale su Iva e accise si rischia di applicare un cerotto su una piaga. Facendo un'ipotesi purtroppo dell'irrealtà, con l'abolizione temporanea delle accise e degli oneri di sistema, e con la riduzione dell'Iva, un litro di benzina o di gasolio costerebbe la metà. Confindustria a questo proposito ha ricordato che il Portogallo ha appena chiesto alla Ue l'abbassamento dell'aliquota Iva dal 23 al 13 per cento. Mentre Francia e Germania, in attesa dell'eventuale decisione comunitaria, stanno già calmierando per conto proprio i prezzi dell'energia, che sono calcolati sul costo del gas e sono quindi legati non alle dinamiche di domanda-offerta, ma all'andamento drogato dei futures.

Invece in Italia la rateizzazione delle bollette fino a 24 mesi a partire da maggio e giugno non porterà certo sollievo ad intere filiere industriali sul punto di implodere, perché sposta solo in avanti il problema senza affrontare il nodo cruciale del costo insostenibile dell'energia per tutto il settore industriale. E va considerata un effetto tampone anche la tassazione degli extraprofitti a carico delle grandi imprese energetiche per finanziare la riduzione dei prezzi, perché sudi essa pesa il precedente della cosiddetta Robin Hood Tax, che fu dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale.

Serve insomma un salto di qualità nell'affrontare questa spaventosa crisi energetica che la guerra ha soltanto aggravato: temporeggiare in tante circostanze è una dimostrazione di saggezza politica e di virtù, ma essendo ormai chiaro che si dovrà arrivare a un nuovo scostamento di bilancio, prima lo si farà e meno sarà oneroso: in questo momento un'iniezione di risorse per tenere in piedi l'economia è da considerare a tutti gli effetti debito buono, non benzina sul fuoco.

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