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Nuove pensioni al rush finale. Si lavora alla flessibilità in uscita ma con penalizzazioni alte

Filippo Caleri
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Le porte restano sbarrate, da parte del governo, all'ipotesi di far uscire dal lavoro con soli 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica. «Non se ne parla» hanno spiegato i tecnici del ministero del lavoro e dell'economia nel tavolo tecnico sulla riforma pensionistica, tenuto in settimana, che sta elaborando con i sindacati una proposta per superare Quota 102 e le rigidità della Monti-Fornero entro la fine dell'anno. Il no ai 41 anni però è stato seguito dalla proposta di mediazione che apre qualche spiraglio per chi attende la riforma per lasciare il posto prima. Il governo si è detto disponibile sulla possibilità di lasciare il mondo del lavoro prima dei 67 anni, soglia attualmente prevista dalla legge Fornero, ma allo stesso tempo ha avanzato una controproposta basata sul ricalcolo contributivo degli assegni pensionistici, di fronte alla quale i sindacati avevano ribadito unanimemente la loro contrarietà. Il leader della Uil, Pier Paolo Bombardieri, a LaPresse ha spiegato che «si mettono in discussione diritti acquisiti, cambiando le carte in tavola in corsa, e ci sarebbe una penalizzazione eccessiva». Più morbida invece la proposta che prevede l'uscita a 64 anni, dunque fino a 3 anni prima, con un dazio da pagare per ogni anno di anticipo pari al 3% della pensione maturata.

 

 

Una soluzione ancora troppo esosa e che si inserisce nel solco di quella già proposta dal presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, che ieri l'ha rimessa in campo nel corso di un intervento a Mattino 5: «Mi sembra che la mia proposta riesca a dare ai pensionati tutto all'età di 67 anni, e nell'anticipo, per chi vuole andare in pensione a 64 anni, solo la parte contributiva. Questo introduce un principio di equità. È un tema sul quale si potrebbe trovare convergenza». L'idea è quella di erogare a chi esce a 64 anni solo la parte contributiva maturata fino a quel momento per poi riconoscere la quota retributiva della pensione una volta raggiunti i 67 anni. «Ci sarebbe solo un piccolo esborso per l'anticipo di 400 milioni l'anno» ha aggiunto Tridico. Si darebbe dunque flessibilità per l'uscita, nessuna perdita effettiva dell'assegno dopo 3 anni, in più potrebbe passare anche il vaglio europeo che digerirebbe senza ostacolo l'estensione anche parziale del metodo contributivo. Tutte ipotesi per ora perché non è stato ancora convocato il tavolo politico, dove i leader di Cgil, Cisl e Uil si confronteranno con il governo e faranno il punto sugli incontri tecnici che hanno impegnato i segretari confederali dei sindacati e i rappresentati di Palazzo Chigi nelle scorse settimane. Bombardieri si aspetta però «una risposta in tempi brevi» ha detto ieri spiegando che l'impressione è che il ritardo sia dovuto non soltanto all'agenda istituzionale del Governo - come era emerso dall'ultimo round tecnico - ma anche dal fatto che l'esecutivo stia «verificando e calcolando la fattibilità economica» delle proposte avanzate dal sindacato che ha condiviso. E ha aggiunto: «Sulla sostenibilità economica della riforma siamo pronti a discutere».

 

 

Bombardieri ha ricordato infatti che, nel corso dei tre incontri che si sono svolti al dicastero di via Veneto, «il governo ha condiviso le nostre proposte e preoccupazioni su giovani e donne», aprendo per esempio alle pensioni di garanzia, alla valorizzazione dei contributi versati e alla definizione di un bonus di contribuzione virtuale, ex post, per i lavoratori e le lavoratrici con carriere più fragili, che copra i periodi di formazione, di disoccupazione e di cura della famiglia. Anche sulla flessibilità in uscita c'è stata un'apertura che è comunque «un dato positivo», ha detto il leader della Uil, specificando che «l'Ape social, utilizzata per vari tipi di lavoro è uno strumento importante». E che «è necessario un passo importante per dare la possibilità ai lavoratori di andare in pensione prima, sia a chi svolge lavori usuranti sia a donne e ai giovani con la pensione di garanzia».

 

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