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Chi ha diritto alla pensione anticipata, il piano Inps: uscita a 63 anni e assegno calcolato con il contributivo

Filippo Caleri
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Si scalda il fronte della pensioni che, con la scadenza di Quota 100 alla fine del 2021, andrà a riposo. La discussione è in corso perché le risorse che il ministro dell'Economia, Daniele Franco, dovrà trovare per l'intero capitolo previdenza questa volta dovranno essere più consistenti Si dovrà tenere infatti conto dell'inflazione che ha iniziato a rialzare la testa, e quindi già solo per la rivalutazione annuale degli assegni già erogati, il costo sarà più pesante rispetto al passato. Difficile immaginare che si possa far molto con quelle che il governo stanzierà per la previdenza: circa 5 miliardi di euro.

Una somma insufficiente a finanziare misure popolari come l'uscita con 41 anni di contributi o Quota 101 o 102. L'esosità di queste soluzioni depone a favore dell'asso messo sul tavolo dal presidente dell'Inps, Pasquale Tridico. E cioè quello della cosiddetta «Ape contributiva» che darebbe a 63 o 64 anni la possibilità di lasciare il lavoro con un assegno calcolato sulla sola quota contributiva maturata alla data della richiesta. Una rendita ovviamente più leggera, che diventerebbe intera e più pesante, al raggiungimento dell'età di vecchiaia oggi fissata a 67 anni. L'uscita anticipata riguarderebbe chi ha accumulato 20 anni di contributi e ha una quota di pensione di importo pari o superiore a 1,2 volte l'assegno sociale. Un'ipotesi «sostenibile dal punto di vista finanziario» ha assicurato Tridico.

Il costo stimato è di 453 milioni nel 2022 che salirebbero fino a 1,165 miliardi nel 2025 e risparmi che scatterebbero dal 2028: masi tratta di anticipi di cassa e dunque, di fatto, il costo è zero. La misura consentirebbe il pensionamento di 50mila lavoratori in più ne12022, 66 ne1 2023, 87 nel 2024. Un'altra opzione, «Quota 41», che piace a Lega e sindacati per Tridico costerebbe il prossimo anno 4,33 miliardi per poi crescere negli anni successivi fino a 9,75 miliardi e iniziare una lenta discesa a 9,2 miliardi nel 2031.

Non ci sta però la Cgil: le previsioni su questa soluzione «sono decisamente sovrastimate» ha detto in una nota il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli. Quel calcolo, spiega infatti il responsabile Previdenza pubblica della Cgil nazionale Ezio Cigna, ipotizza che tutti gli aventi diritto si avvalgano dell'opzione, «quando l'esperienza concreta ci dice che in questi casi gli utilizzatori sono meno della metà. Inoltre - aggiunge non si considera che la componente contributiva, ormai prevalente in quasi tutte le posizioni personali, non costituisce una spesa aggiuntiva ma solo un'anticipazione di spesa. Per noi il picco massimo di spesa annua non supererebbe il miliardo e mezzo, e pertanto questo intervento sarebbe sostenibile».

Il tema è all'attenzione del governo, che nella prossima manovra - attesa in Parlamento entro il 20 ottobre e anticipata dal Dpb da inviare a Bruxelles questo venerdì - dovrà affrontare il tema e trovare una soluzione. Tra le ipotesi di lavoro c'è anche l'ampliamento dell'Ape sociale, che estenderebbe la platea delle attività gravose. Per Tridico sono 30, oltre alle 15 esistenti, e le modifiche costerebbero un miliardo in tre anni. C'è anche un altro problema da risolvere, sempre coi fondi della manovra. I contributi pensionistici versati si rivalutano sulla base dell'andamento del Pil degli ultimi cinque anni. E l'Istat ha comunicato che il tasso di rivalutazione del montante contributivo per il 2021 sarà negativo. Per ovviare all'erosione che questo comporterebbe, una legge del 2015 stabilisce che in questi casi il montante non viene ridotto, ma la rivalutazione diventa semplicemente nulla, quindi non si perderebbe niente.

Un'Ipotesi che comunque non piace ai sindacati. Cisl, Uil e Uilp chiedono al governo di sterilizzare subito gli effetti negativi della caduta del Pil, perché non basta la tutela dell'accordo del 2015. Intanto novità arrivano sul fronte della riscossione. Il governo dovrà «valutare l'opportunità di procedere ad una estensione a 150 giorni del termine per il pagamento delle cartelle notificate nei mesi successivi la ripresa delle attività di notifica e riscossione». È quanto prevede la versione definitiva della risoluzione, approvata dal parlamento, che impegna il governo a rivedere il sistema di riscossione fiscale e che chiede anche la cancellazione automatica dei crediti inesigibili e misure contro i recidivi che non onorano sistematicamente i debiti col fisco.

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