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Sulla riforma fiscale il governo Draghi gioca la sua credibilità

Angelo De Mattia
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Allora erano soltanto parole quelle che nei mesi scorsi, annunciando la necessità di una riforma del fisco organica, coerente in tutte le sue parti, dunque non «a pezzi e bocconi», miravano, da parte del Governo, a sottolineare la netta differenza con il passato e richiamavano la riforma globale del 1973-74? Il dubbio può sorgere se si riflette sulle voci, anche di esponenti dell'Esecutivo, secondo le quali alcune anticipazioni della revisione potrebbero essere incluse nella prossima manovra di bilancio, anche eventualmente con un decreto, mentre i tempi si allungherebbero per la delega fiscale. A quest’ultimo riguardo, si prospettano le differenziazioni tuttora presenti nella maggioranza, per esempio tra riduzione complessiva delle imposte e interventi mirati, invece, a ridimensionare il cuneo fiscale - questione che però si riproporrebbe anche per misure stralcio - oppure tra revisione o no del catasto con le relative conseguenze. Ma, per evitare di ripercorrere la strada dei provvedimenti isolati, se si vuole tener fede a quanto si è promesso, sarebbe necessario conoscere il quadro complessivo di riferimento della rivisitazione, che, però, è quello che, invece, non si sarebbe (ancora) in grado di varare con la convergenza delle formazioni della maggioranza: insomma, una specie di «comma 22». Eppure, solo se deciso e reso pubblico tale quadro, si può far sì che le singole misure che si introducono non siano una ripetizione del metodo adottato per circa mezzo secolo. A meno che non si tratti di specifiche decisioni di somma urgenza.

 

 

È sperabile, comunque, che sopravvenga una rimeditazione - qualora il rinvio, fin qui non smentito, sia fondato - e il Governo dimostri di essere in grado di decidere una proposta di legge-delega per la revisione del fisco in tempi brevi, considerato che l’argomento è allo studio sin dall’insediamento dell’attuale Governo, come si evince dalle dichiarazioni programmatiche del Premier rese in Parlamento per la fiducia. Vi è una questione anche di credibilità da affrontare. In generale, una delega legislativa potrebbe mantenere un certo grado di elasticità, anche se vanno tassativamente puntualizzati, come vuole la Costituzione, i principi e i criteri direttivi, nonché i tempi dell’esercizio, per il legislatore delegato. Stanti però, le differenze di posizioni nella maggioranza, ora saranno maggiormente necessarie chiarezza e specificità della proposta di delega. In ogni modo, così si allontana quello spirito riformatore che, pure in una situazione politica difficile quale era quella degli iniziali anni settanta del Novecento, si manifestava quando si pose l’esigenza di una profonda revisione della normativa fiscale. In sostanza, le scelte da compiere ora sul modo in cui procedere non sono un fatto meramente metodologico, ma sono opzioni strettamente politiche e impegnano il Premier in prima persona.

 

 

Un ragionamento, questo, che vale «mutatis mutandis» anche per la riforma della legislazione sulla concorrenza. In quest’ultimo campo, non sembra che si profilino ritardi sui tempi previsti, dopo lo slittamento dal termine originariamente fissato nella fine del luglio scorso. Ma divergenze esisterebbero nei contenuti con riferimento al regime delle concessioni sul demanio marittimo (in particolare per le spiagge) e sullo svolgimento, da parte degli enti territoriali, di lavori «in house». Sono due aspetti importanti che da lungo tempo si evita di affrontare anche per la multiforme presenza di interessi. Vedremo quale sarà la soluzione. Resta il fatto che questa riforma, se tale si potrà chiamare, viene proposta senza un'analisi adeguata dell’intervento pubblico in economia e del rapporto tra «pubblico» e «privato». Una riforma, che si ha la pretesa di far passare come un evento rilevante, se non straordinario, la quale sarebbe un insieme di micro-provvedimenti avulsi, almeno stando a quanto se ne sa, da un quadro generale. Eppure non si tratta di mere tecnicalità. Vedremo gli sviluppi.

 

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