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Cosa resterà di Atene dopo la "cura" Merkel?

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Le bandiere tedesche bruciate ieri ad Atene e lo slogan «Fuori i nazisti dalla Grecia» non promettono nulla di buono per il futuro, neppure se i negoziati si concluderanno con un accordo dell'ultima ora. Se quello della Grecia continua infatti ad essere presentato dai vertici europei come un salvataggio, c'è da chiedersi quale ne sarà il prezzo. O meglio, chi e che cosa verrà effettivamente salvato: se i greci oppure gli interessi dell'Europa a trazione tedesco-francese. Sia chiaro, non abbiamo mai fatto sconti alla tradizione ellenica di mani bucate, stato assistenziale, evasione fiscale, di gran lunga peggio che in Italia. Ma le domande sono almeno due. Prima: tutto ciò era ignoto, o era sfuggito, ai professionisti del Fondo monetario internazionale e della Goldman Sachs che negli ultimi anni avevano prestato assistenza finanziaria ben retribuita al governo di Atene? Possibile che non si fossero accorti che erano stati truccati i conti pubblici? Seconda domanda: quale Grecia uscirà dalla cura imposta da Angela Merkel? La troika Unione europea, Fmi e Bce ha chiesto il taglio immediato di 30 mila dipendenti pubblici e di 150 mila entro il 2015; la decurtazione del 40 per cento degli stipendi di chi resta al lavoro; la sospensione per almeno un anno di tredicesime e quattordicesime; la riduzione delle pensioni e del sussidio di disoccupazione (oggi pari a 877 euro, tra i più alti d'Europa). Finora i vari governi greci, socialista prima, tecnico attualmente, hanno traccheggiato, riducendo per esempio gli statali di 15 mila unità su 750 mila. Eppure il numero di disoccupati sta raggiungendo il milione sugli 11 milioni di abitanti totali: è senza lavoro quasi il 20 per cento della popolazione attiva, e questo senza che siano ancora scattate le misure più drastiche. Guardandola dal versante finanziario, la storia non cambia. Trentadue miliardi di euro dei più ricchi sono già fuggiti oltre confine, andando ad impinguare la Bulgaria e Cipro; mentre le banche greche non appaiono minimamente in grado di sostenere il taglio del 70 per cento deciso per i titoli di Stato, tra valore nominale e rendimenti. E di conseguenza azzerano mutui e prestiti per la gente comune e le imprese. Rischio che si è invece ridotto per le banche francesi e azzerato per quelle tedesche, fino a un anno fa le due maggiori finanziatrici del debito di Atene. Mentre è pari a zero per la Bce, esposta per 50 miliardi e che su volontà tedesca si vedrà rimborsare interamente. Se anche i partiti si metteranno d'accordo sull'austerity, se dopo le elezioni di fine aprile manterranno tutti gli impegni, se l'Europa sbloccherà la prossima tranche di finanziamenti ed il secondo maxi-prestito, c'è da chiedersi con quale paese avremo a che fare. L'export della Grecia, già prima pari ad appena l'8 per cento del Pil, si sta ulteriormente riducendo. Il settore delle costruzioni è fermo. Cantieri e trasporti marittimi sono da tempo passati nelle mani forti di cinesi e giapponesi. Resta il turismo. Ma soprattutto dovremmo chiederci quali saranno le ricadute psicologiche e politiche su un paese non da molto recuperato alla democrazia e da sempre strategico per la Nato, confinante con un'area mediorientale ad alto rischio di integralismo. Rischiamo di seminare una specie di peronismo europeo, o di far risorgere il comunismo. È questo che l'Europa vuole? Certo, se si guarda solo ai parametri di bilancio, punire la Grecia per educare tutti gli altri può avere una logica. Ma che fine ha fatto la lungimiranza politica di quei governi – Germania e Francia – che fino a poco fa accusavano gli Stati Uniti di volere esportare a forza il loro modello sociale ed economico? Di scendere in guerra per il petrolio? La difesa delle banche tedesche e della stabilità del Bund non è una causa molto più nobile: anzi, nessun soldato muore, nessuno si sporca neppure le mani. E, a proposito di America, i debiti della Lehman Brothers erano di 400 miliardi di euro, quelli della Grecia sono di 350. La cura imposta a Wall Street dalla Casa Bianca e dalla Federal reserve sarà stata certamente discutibile, ma oggi gli americani stanno meglio di quattro anni fa.

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