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Il governo interviene nella «saga» dei Salini

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Spunta un emendamento teso a risolvere la governance del Gruppo di costruzioni

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Lanorma sembrerebbe tagliata su misura proprio per chiudere una questione che si trascina da tempo, relativa al controllo della Salini. Per capire che sta accadendo bisogna prima addentrarsi nell'intreccio dei legami familiari. La cabina di regia del Gruppo è affidata ai tre compnenti del comitato esecutivo: Simonpietro, classe 1932, è il presidente, Pietro, 53 anni, è il primo dei suoi dieci figli avuti da quattro mogli, poi c'è Simon Pietro, nato nel 1965, omonimo dello zio. Simon Pietro si occupa soprattutto del settore immobiliare ed è figlio di Franco, fratello minore di Simonpietro nato nel 1936. I due anziani, Simonpietro e Franco, stanno da tempo cercando un accordo sul rinnovo delle cariche. Pietro guida il Gruppo con il pugno di ferro e tutta la famiglia gli riconosce indubbie doti manageriali ma proprio il suo carattere poco malleabile, mentre produce risultati per i conti dell'azienda, ha creato tensioni in famiglia. I cugini, Alessandro e Claudio, sono usciti dalla gestione aziendale tant'è che il primo si è messo a fare il consigliere del padre Franco e il secondo fa il costruttore per conto suo. La Salini Costruttori è divisa in tre quote. L'accomandita Salini Simonpietro, a sua volta divisa a metà tra Simonpietro e il figlio maggiore ha il 47%; la Sapar, holding di Franco e dei figli, ha il 43%; il restante 10% sono azioni proprie intestate alla Salini Costruttori. Secondo Pietro una quota di questo 10% spetterebbe a Simonpietro che così salirebbe al 52,2%. Ma Franco contesta questa interpretazione. Peraltro Simonpietro e Franco hanno stabilito che occorre una maggioranza qualificata del 60% per scelte di ordinaria e straordinaria amministrazione. Nel 2002 Pietro cambia lo statuto per poter procedere a maggioranza semplice. Da questo punto si scatena la guerra dei cugini a colpi di carte bollate. Per dare un'idea della partita in gioco ecco alcuni numeri. La Salini Costruttori ha 13.000 dipendenti e un portafoglio ordini che supera i 15 miliardi e spazia da dighe, a lavori per impianti idroelettrici ad appalti per ferrovie e metropolitane. Se poi all'integrazione della Todini seguirà Impregilo, di qui al 2015 potrebbe nascere un gruppo da 7 miliardi di ricavi. Allo stato dei fatti quindi è fondamentale sistemare le questioni di famiglia. Il nodo del conferimento delle azioni proprie è diventato centrale. Ma invece di essere risolto nelle sedi proprie, quelle legali, interviene addirittura il governo. Come? Con un emendamento, infilato in silenzio, al decreto che si occupa di crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile, si stabilisce che «le deliberazioni assunte entro il 30 giugno 2012 dalle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e che concernono l'alienazione di azioni proprie, detenute al 31 dicembre 2011, sono assunte dall'assemblea ordinaria senza computare tali azioni nel calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l'approvazione della deliberazione. I soci hanno in ogni caso diritto di esercitare la prelazione in misura proporzionale alle partecipazioni sociali detenute». Questo vuol dire che il 10% di azioni proprie verrà distribuito in modo proporzionale alle partecipazioni in possesso dall'accomandita Simonpietro e dalla Sapar, portando la Simonpietro al 52%. Il governo si schiera così con una parte, in modo del tutto insolito, determinando la governance del gruppo di costruzioni. Se tutto continuerà così il decreto diventerà legge a fine febbraio e l'emendamento produrrà i suoi effetti.

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