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L'addio di Alcoa al Vecchio Continente

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La multinazionale Usa dell'alluminio chiude gli impianti in Spagna e Italia

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i.Ieri la sentenza. Gli stabilimenti che salteranno, fuori dai confini americani (tre impianti sono stati chiusi la scorsa settimana negli Usa in Tennessee e in Texas), sono tre e concentrati in Europa: due in Spagna a la Coruna e ad Aviles, e uno in Italia, quello di Portovesme in Sardegna. Un addio produttivo che colpisce i Paesi europei già duramente colpiti da manovre finanziarie ad alto impatto recessivo che hanno avvitato la capacità di investimento dei Paesi. Un colpo per le ambizioni soprattutto italiane di creare attraverso un processo di riforme, ancora da avviare ma comunque nell'agenda del governo Monti, di aumentare l'attrazione dei capitali esteri nel Paese. Niente da fare. La contabilità industriale delle multinazionali non ammette repliche. Alcoa ha, infatti, sottolineato che la produzione nei tre stabilimenti europei è tra le più costose della multinazionale. Le consultazioni con i governi interessati e i rappresentanti dei lavoratori inizieranno subito: complessivamente nei tre stabilimenti lavorano 1.500 persone, ma l'impatto sulla forza lavoro non sarà deciso finché non finiranno le trattative. «In un contesto economico globale che cambia rapidamente, è un imperativo rispondere in modo rapido per mantenere competitività», ha detto Cris Ayers, direttore generale di Alcoa global primary products. Semplicità e pragmatismo anglosassone che scuoteranno non poco l'economia italiana. I giusti e legittimi dibattiti sulle liberalizzazioni e sulla riforma del mercato del lavoro avviati con le parti sociali sono considerati solo bizantinismi formali da parte delle grosse società internazionali. Che per restare nel sud del Vecchio Continente hanno bisogno di condizioni diverse da quelle offerte da un sistema ad elevata rigidità come quello italiano. Il caso Alcoa può essere il vero banco di prova per l'intero sistema produttivo italiano. Sì perché gli americani hanno detto quello che molti fingono di non vedere. E cioè che un sito industriale come Portovesme è inefficiente dal punto di vista economico. Che Alcoa non è un ente di beneficenza e che quando deve tagliare le sue branch nel mondo l'accetta è usata nei luoghi dove i costi di produzione sono più alti del prezzo fissato dal mercato. Come Portovesme appunto Il quesito che si pone ora è capire quante Portovesme ci sono in Italia. Quanti siti rischiano la chiusura di fronte alla contrazione della domanda mondiale indotta da una pesante recessione. Non è difficile immaginare che sul tavolo del ministero dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, i dossier simili a quello sardo si accumuleranno in gran quantità. Le trattative serviranno a rendere meno duro l'impatto sull'occupazione della scelta di Alcoa. Ma il punto della debolezza della struttura industriale resta. Ieri il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha battuto il tasto sulle delocalizzazioni produttive. «La Francia deve alleggerire il costo del lavoro per mettere fine a questa emorragia che sono le delocalizzazioni e tornare ad essere una terra di produzione». Problema centrato.

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