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Costi leggeri per chi licenzia. Tre anni di stipendio a chi esce

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Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi

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Tutti i nuovi contratti a tempo indeterminato ma nessun lavoratore inamovibile. Sta in questa semplificazione il contenuto della nuova regolamentazione del mercato del lavoro proposta dal senatore del Pd, Pietro Ichino, che dopo aver ottenuto un consenso bipartisan in Parlamento, è stata indicata come strada percorribile anche dal premier Silvio Berlusconi che deve rispettare tra gli impegni presi con l'Unione Europea anche la riforma delle regole per le assunzioni e i licenziamenti. La nuova normativa parte da uno scambio preciso. L'impresa si accolla il costo sociale della fine del rapporto di lavoro per un motivo oggettivo (ad esempio una crisi aziendale) e, salvo il controllo sul fatto che non si sia trattato di discriminazioni di età, religione e razza, il giudice non può entrare nel merito del motivo di licenziamento. All'azienda spetta quindi nel caso di uscita del lavoratore di liquidarlo con una somma crescente con l'anzianità di servizio e un contratto di ricollocazione. Entrerebbe in campo per questo un'agenzia esterna che garantirebbe un trattamento complementare di disoccupazione che porta l'indennità al 90% dello stipendio il primo anno, all'80% il secondo anno e al 70% il terzo anno. A fronte di questo trattamento il lavoratore espulso deve partecipare a tutte le iniziative di riqualificazione e di ricerca di un nuovo posto offerte dall'agenzia. Il nucleo centrale della proposta è la misura monetaria corrisposta al dipendente licenziato. L'azienda dovrebbe erogare con le sue risorse una cifra pari a una mensilità moltiplicata per gli anni di anzianità di servizio. A questo dovrebbe essere aggiunto una quota per integrare il trattamento di disoccupazione già assicurato il primo anno dagli enti pubblici. Nei primi 365 giorni di inattività il lavoratore percepirebbe quindi il 90% del salario e all'azienda spetterebbe mettere una differenza minima. Il secondo e il terzo anno invece il costo aziendale diventerebbe più elevato: il 70% e l'80% dell'ultima retribuzione. Un costo elevato che incentiverebbe azienda e agenzia a ricollocare il lavoratore proprio prima della fine di un anno di disoccupazione. Non dovrebbe essere difficile, già oggi secondo uno studio dell'Inps che copre un arco temporale dal 1998 al 2005, oltre l'80% di chi perde lavoro lo ritrova entro 12 mesi (vedere tabella sopra). Con servizi migliori e con la spada di Damocle di maggiori costi la percentuale potrebbe salire al 90%. Non è un calcolo astruso secondo Ichino perché nei paesi scandinavi si arriva al 98% del ricollocamento. La logica del nuovo sistema è quello di stimolare i soggetti coinvolti a ridurre i casi di disoccupazione maggiore di un anno al di sotto del 10% del totale. Per i nove su dieci ricollocati il costo del trattamento complementare è infatti contenuto per il bilancio aziendale. Inoltre il costo del servizio di riqualificazione e di ricerca di nuovi posti sarebbe coperto dalle Regioni e dal Fondo Sociale Europeo mentre lo Stato dovrebbe pensare a programmi speciali per i difficilmente collocabili, quelli che non trovano posto nei 3 anni seguenti al licenziamento, per ridurre in ogni caso i costi per le aziende. Si tratterebbe di una situazione marginale (uno su dieci). Per avere un'idea pratica del funzionamento delle norme Ichino ha corredato le sue tesi con esempi pratici. Così nel caso del licenziamento dopo un anno di servizio il costo complessivo aziendale per un operaio con un lordo di 25 mila euro sarebbe di 2.083 euro. Una somma pari all'8,33% del costo aziendale e composta da una mensibilità lorda e dai contributi che gravano sulla stessa. Nulla sarebbe dovuto per la disoccupazione che peserebbe quasi integralmente sul pubblico. Lo stesso operaio dopo due anni graverebbe invece per 5.075 euro nel caso di ricollocazione entro 6 mesi dal licenziamento. Una cifra composta da 2 mensilità lorde con contributi inclusi (pari al 16,7% del costo aziendale annuo complessivo) più un trattamento di disoccupazione pari al 60% (il 10% dello stipendio per i sei mesi di non lavoro) che equivale al 3,6% del costo aziendale. Il conto salirebbe a 5.925 euro nel caso di non ricollocazione nei 12 mesi successivi all'uscita necessari a integrare i trattamenti previsti e portarli al 90%. Con 10 anni di anzianità il licenziamento dello stesso dipendente (25 mila euro di costo aziendale) e il suo reimpiego entro sei mesi comporterebbe un esborso totale per l'imprenditore di 21.275 euro (10 mensilità complete di contributi più l'integrazione pari al 10% per i sei mesi di disoccupazione).  

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