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Il balletto della moneta unica tra tedeschi e speculatori

Bce

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I fondi ad alta speculazione continuano a sparare bordate sulle borse finanziarie. Le tecniche si sono affinate e le dinamiche del mercato non rispondono più alle vecchie leggi. Agli occhi degli analisti più esperti non è però sfuggita una singolare correlazione tra gli indici di Borsa e il valore del cambio tra euro e dollaro. Non appena questo dato scende i mercati borsistici vanno giù. Basta un accenno di risalita, un rafforzamento della moneta unica, per far ripartire a razzo le quotazioni. Un segno di una battaglia sulla valuat che dietro le quinte si gioca tra Stati e speculatori. E che danno un po' di chiarezza, forse l'unica qualità smarrita in questa fase della crisi, su cosa sta realmente accadendo nei mercati finanziari. Sono due le forze che si contrastano. Da una parte i fondi ad alto rischio che spingono al ribasso l'euro, dall'altra l'ortodossia tedesca che non vuole rinunciare alla stabilità e alla forza relativa della sua valuta. L'esperienza della repubblica di Weimar è rimasta nel dna dei teutonici. L'iperinflazione è un demone da combattere a ogni costo e, qualunque sia la moneta, marco o euro, deve restare forte a ogni costo. Anche strozzando la crescita economica dell'intera Europa. Già, vendere a questi valori le merci costruite nell'area Ue non è facile. All'estero costano troppo. Così l'export tende a rallentare. Insomma il valore dell'euro sembra artificiosamente costruito a tavolino con acquisti mirati da parte della Banca centrale e delle banche tedesche. Deve restare lì tra 1,43 e 1,41 sul dollaro. Questa è la richiesta inossidabile dei panzer. Appena la quotazione si avvicina al valore più basso i mercati temono la cosiddetta «rottura del supporto» e nel timore di assistere a una svalutazione repentina di valori azionari denominati in euro scappano e vendono, provocando la discesa immediata degli indici europei. Non si sfugge a questa regola. Le due forze in questi giorni sono come un pendolo. Si contrastano e si battono per ora senza vedere un vincitore. La svalutazione dell'euro che giova a chi investe o ha fortemente investito in dollari, leggi Cina e altri emergenti, in realtà sarebbe una panacea anche per le asfittiche macchine produttive dei paesi europei. Italia in prima linea che, sulla svalutazione della lira, ha costruito anni di ricchezza negli anni 80 e 90. Inutile pensare di far passare questo principio a Berlino. Dunque per ora resta tutto così. Non si muove nulla. Ma se, come sembra, anche l'economia e l'industria tedesca cominciassero a perdere colpi allora forse la Merkel e il suo governo potrebbero prendere in considerazione anche la pratica tanto vituperata all'epoca nella quale era una prassi a Roma. L'abbandono del rigore monetario, l'inflazione al netto del petrolio è contenuta sotto il 2%, gioverebbe a tutti. Ridarebbe fiato all'Europa e creerebbe sviluppo. I tonfi dei listini di Francoforte dei giorni scorsi forse possono suonare la sveglia anche ai più rigorosi economisti di Berlino.

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