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È necessario separare il Tesoro dalle Finanze

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segue dalla prima di ANTONIO MARTINO Il rimedio forse più efficace all'abuso del potere è la sua dispersione. Un dittatore dispone di un incontrastato potere di fare del bene - una democrazia non avrebbe mai potuto realizzare le opere pubbliche che il fascismo produsse fra il 1922 e il 1938 - ma anche di un ugualmente incontrastato potere di fare danno. È questa l'obiezione più forte alla desiderabilità di una dittatura illuminata. Sono necessari pesi e contrappesi, «checks and balances», per dirla con gli anglosassoni, che si controllino reciprocamente, si contrastino ove necessario, neutralizzino le rispettive capacità di nuocere. La dispersione del potere è condizione necessaria, e forse anche sufficiente, di tutela delle libertà personali. Ma veniamo alla mia proposta che, a differenza di Jonathan Swift, definirei immodesta. Credo di essermene già occupato, anche su queste colonne ma vale la pena tornarci. Il legislatore costituente non volle mantenere nella Costituzione repubblicana l'istituto, che esisteva nello Statuto albertino, della revoca di un ministro. Il presidente del Consiglio poteva sottoporre al Re la revoca di uno dei suoi ministri; se controfirmata, il ministro veniva sostituito. I padri della nostra Costituzione decisero di non mantenerla per sottolineare la responsabilità collegiale dell'esecutivo. Le decisioni assunte per iniziativa di un ministro erano responsabilità di tutto l'esecutivo: se sbagliate, non veniva sostituito il ministro, cadeva tutto il governo. Simul stabunt simul cadent. La decisione della Corte costituzionale che avallò la sfiducia individuale ai danni del ministro di Giustizia Filippo Mancuso è vergognosamente, platealmente contraria alla lettera e allo spirito della nostra Costituzione. Del resto, per sostenere che fosse ammissibile, Andrea Manzella, che nel suo manuale aveva sostenuto il contrario, dovette arrampicarsi sugli specchi, sostenendo che incostituzionale per un ministro «politico» era da ritenersi ammissibile per uno «tecnico» (sic)! La riforma Bassanini ha cambiato, inintenzionalmente, tutto questo: il nostro governo non è più un organo collegiale ma monocratico: accentrando nella stessa persona i poteri del ministro del Tesoro, delle Finanze, del Bilancio, delle Partecipazioni Statali e del Mezzogiorno, ha di fatto sancito che il governo è il ministro dell'Economia, gli altri, presidente del Consiglio incluso, sono solo superflue comparse. Non si muove foglia che il ministro dell'Economia non voglia. La «golden rule» (regola d'oro) viene interpretata nel senso che chi ha l'oro (gold) comanda; dal momento che i cordoni della borsa sono a disposizione di una sola persona, tutte le decisioni governative dipendono dal suo assenso. Non nutro viscerale ammirazione per l'operato del mio amico Giulio Tremonti come titolare dell'Economia e non ho mai taciuto le mie riserve, ma fosse anche Milton Friedman e fossi entusiasta del suo operato, continuerei a sostenere, da liberale convinto, che è sbagliato e pericoloso attribuire tanto potere ad una sola persona. Unificare Tesoro e Bilancio è possibile, ma la dialettica fra il ministro della spesa e quello delle entrate deve rimanere e deve trovare la sua composizione nelle decisioni di chi ha istituzionalmente il compito di dettare l'indirizzo della politica nazionale: il presidente del Consiglio, capo del governo. Per questo mi sembra indilazionabile una riforma semplice e indolore: tornare alla dialettica fra ministro del Tesoro e ministro delle Finanze, conferendo al ministro dello Sviluppo economico le decisioni relative alle partecipazioni statali e al Mezzogiorno. Torneremmo così alla lettera e allo spirito della nostra Costituzione, avremmo un governo effettivamente guidato dal suo capo e collegialmente responsabile. Oltre tutto, le nostre libertà non potrebbero che avvantaggiarsi dalla dispersione di un potere immenso, anomalo e incontrollato. Perché aspettare? Facciamolo subito.

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