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Ora si lavori ventre a terra per il Paese

Il ministro Tremonti e il governatore Bankitalia, Draghi

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La stima che nutriamo per Giulio Tremonti non impedisce di dar ragione a Mario Draghi nell'analisi sulla politica economica contenuta nelle ultime Considerazioni da governatore di Bankitalia. Analisi che si può riassumere così: grande merito al governo e Tremonti per la gestione dell'emergenza finanziaria, per aver blindato i conti dello Stato e tutelato il risparmio. Ma bocciatura per ciò che è stato fatto – anzi: non fatto – dal 3° anno in poi. Per l'ostinarsi a non prendere nessuna misura vera per rimettere in moto l'economia, e di conseguenza la società, di un'Italia “insabbiata”, che cresce metà dei competitor occidentali, e i cui giovani sono vittime di pesanti ipoteche sul futuro. «Quale paese lasceremo ai nostri figli?» ha concluso il governatore. Draghi non ha operato strappi con il governo ma ha fatto parlare le cifre in un raffronto non con la Germania superstar ma con la Francia, paese più affine per popolazione (e per litigiosità politica e burocrazia). Negli ultimi dieci anni il Pil francese è cresciuto di 12 punti, in Italia di 3. La produttività è salita laggiù nove punti più che qui. Da noi sono entrati investimenti pari all'11% del Pil, contro il 27%. Le retribuzioni sono rimaste ferme contro un aumento del 9% in Francia; i consumi sono cresciuti del 18% in Francia, da noi meno del 5. In aggiunta a tutto ciò, il capitolo infrastrutture, dove il governo prevede una riduzione di un punto di Pil nel 2012. E dove degli ampliamenti concordati nel '97 tra Anas e società Autostrade ne sono stati realizzati il 60%. Eppure gli investimenti valgono 15 miliardi, mentre i fondi europei ammontano a 23: peccato ne siano stati spesi 3,5. Fin qui c'è una responsabilità condivisa tra governo, opposizione, regioni, aziende, sindacati, movimenti no-Tav e Nimby. Dove Draghi chiama in causa Tremonti, senza citarlo, è sul criterio per tenere a bada la spesa. Dice: «Non è consigliabile procedere a tagli uniformi in tutte le voci; essi impedirebbero di allocare le risorse dove sono più necessarie; sarebbero difficilmente sostenibili nel medio periodo; penalizzerebbero le amministrazioni più virtuose. Una manovra così inciderebbe sulla già debole ripresa dell'economia, fino a sottrarle circa 2 punti di Pil in 3 anni. Occorre invece un'accorta articolazione basata su un esame degli enti pubblici, voce per voce, commisurando gli stanziamenti agli obiettivi di oggi, indipendentemente dal passato; affinando gli indicatori di efficienza; impiegando una parte dei risparmi ottenuti in investimenti infrastrutturali». E la sconfessione dei famosi tagli lineari a favore del criterio degli interventi verticali invocato da politici ed economisti di centrodestra come Brunetta e Martino. Criterio più faticoso che può provocare ancora più baruffe e gelosie tra ministri e boiardi, ma l'unico in grado di risolvere l'altrimenti inestricabile dilemma tra rigore e crescita. Così come il taglio, vero, delle tasse. «Andrebbero ridotte in misura significativa le aliquote sui redditi di lavoratori e imprese, compensando il minor gettito con ulteriori recuperi di evasione, in aggiunta a quelli, veramente apprezzabili, che l'amministrazione fiscale ha recentemente conseguito». Meno tasse, tagli ben mirati di spesa, più investimenti e infrastrutture. È ciò che Draghi chiede al governo per riportare a galla l'Italia. Sono parole che la sinistra non ha titoli per strumentalizzare, tanto meno quella che ha vinto a Milano e Napoli: del resto chi lo conosce sa che il governatore è un moderato – di recente ha partecipato ad un seminario a porte chiuse della Cdu tedesca – al di là di certi ritualismi. Per esempio, forse in omaggio a Carlo Azeglio Ciampi seduto in prima fila, aver rivendicato il risanamento degli anni Novanta sorvolando sul prelievo notturno sui conti correnti di Giuliano Amato e sull'eurotassa di Romano Prodi. Eppure Tremonti, il Cavaliere e la Lega, se vogliono sopravvivere, non hanno altre vie se non mettersi a lavorare ventre a terra, ridurre le tasse, tagliare le spese e costringere tutti agli straordinari per spendere in infrastrutture i fondi europei. Finora è stato tante volte promesso. Ora non c'è più appello, né per il centrodestra né per il Paese.  

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