Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

In Europa brilla la Draghistar

Mario Draghi

  • a
  • a
  • a

Per la seconda volta in quattro giorni il Financial Times interviene a sostegno della candidatura di Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea. E lo fa in modo molto argomentato. «La Bce ha bisogno di Draghi», titola in prima pagina il quotidiano più apprezzato nella city e nel mondo finanziario europeo. L'articolo è del vicedirettore Wolfgang Munchau, già cofondatore dell'edizione tedesca. Uno che conosce bene i meccanismi di potere dell'Europa e della Germania. E secondo lui innanzi tutto «la crisi finanziaria europea ha preso una brutta piega e quindi una successione gestita male o una decisione protratta troppo a lungo potrebbero portare un ulteriore calo della fiducia. Il candidato ideale, allora, deve avere un'inverosimile combinazione di qualità. Deve essere un banchiere centrale di esperienza e con una profonda conoscenza dell'economia finanziaria e monetaria e del sistema finanziario; capace di forgiare il consenso in un consiglio difficile e spesso diviso; capace di presentare questo consenso al mondo esterno; in grado di tenere testa a leader politici di peso come il presidente francese e il cancelliere tedesco; e che sia credibile al mondo esterno, compresi gli investitori globali». Ebbene, conclude, «ce n'è uno, e purtroppo solo uno, che soddisfa una serie minimamente sufficiente di questi criteri. È Mario Draghi». E perché Draghi? Non certo per simpatie tricolori. «Si tratta - osserva Munchau - di un esperto economista, con una conoscenza del sistema finanziario globale grazie al suo ruolo nel Financial stability board, abituato a trattare con politici difficili». Rimane, conclude il Ft, «l'intollerante tema dell'italianità di Draghi» e quindi il fatto che la «Merkel non può vendere un banchiere centrale italiano ai tedeschi. Ma questo non contraddice il desiderio di Merkel e degli altri colleghi europei di mandare un potente segnale che sono uniti, nord e sud, centro e periferia?» La cosa migliore «sarebbe che la cancelliera facesse di Draghi il proprio candidato», mentre la peggiore «sarebbe una lotta lunga e dura, conclusa con la nomina di un terzo candidato. Una calamità per l'Eurozona». Sarà il caso di aprire un inciso e precisare che l'autore non è un fan di Silvio Berlusconi, al quale non ha mai fatto sconti, mentre stima Giulio Tremonti. Ma in questo caso mette da parte i pregiudizi per concentrarsi sui giudizi: una lezione per certo giornalismo-partito italiano. Detto questo, aggiungiamo che l'endorsement ripetuto del Financial Times segue quello del Wall Street Journal. Si tratta dei quotidiani che sulle due sponde dell'Atlantico riflettono di più gli umori dei mercati. A cominciare ovviamente dal mondo delle banche, e sicuramente qualcuno ricorderà che Draghi è stato per un periodo alla Goldman Sachs. Sennonché in precedenza aveva servito come direttore generale del Tesoro sotto il centrosinistra e il centrodestra, e nel tormentato passaggio dalla prima alla seconda repubblica. Alla fine, a Natale 2005, era stato Berlusconi a chiamarlo alla Banca d'Italia devastata dalle vicende di Antonio Fazio, ed il decreto di nomina del 16 gennaio 2006 reca la firma del Cavaliere. Così come Berlusconi, sorprendendo molti, il 12 gennaio a Berlino aveva lanciato la candidatura Draghi a fianco di una accigliata Merkel. Candidatura sostenuta poi da Giulio Tremonti sabato scorso. È infatti ai ministri finanziari europei che compete di mettersi d'accordo sul successore di Jean-Claude Trichet alla Bce, il cui mandato scade a ottobre. La scelta, che dovrà poi essere ratificata dai capi di governo, è prevista entro giugno, e va ad intrecciarsi con i negoziati che dovrebbero concludersi a marzo sulla nuova governance della Ue. Questa partita, come Il Tempo ha appena scritto, è per l'Italia quanto mai complessa, poiché prevede riforme da noi già realizzate, ma anche possibili onerosi piani di rientro dal debito. Giocarsi contemporaneamente la carta Draghi è dunque un'opportunità e una sfida. Perché, come scrive ancora il Financial Times, «senza un candidato tedesco per la Bce diventerà più difficile trovare un pacchetto di soluzioni a marzo; ed Angela Merkel avrà bisogno di un altro trofeo da portare a casa dai negoziati». Eppure, trofei a parte (possibile presidenza Draghi compresa), tutto ciò sfata alcuni luoghi comuni, cari soprattutto a una certa stampa schierata. Primo. Non è vero che non contiamo nulla ai tavoli internazionali: Draghi ha una sua statura personale, ma è il candidato del governo italiano, di Berlusconi e di Tremonti. Punto secondo. Non è vero che i tedeschi sono perfetti e noi cialtroni. Fino a pochi giorni fa il favorito per la Bce era il tedesco Axel Weber, presidente della Bundesbank, il più potente banchiere centrale europeo. Ma Weber ha litigato furiosamente con il suo governo, e la Germania è rimasta ai box. Immaginiamo i fiumi di parole, d'inchiostro e di talk show se una cosa simile fosse accaduta tra Palazzo Chigi e Banca d'Italia.

Dai blog