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La Cina sorpassa il Giappone

Una negozio di elettronica a Qingdao, Cina

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Fino a pochi mesi fa il nome Foxconn era sconosciuto anche agli addetti ai lavori dell'economia. Poi, sui giornali di tutto il mondo, si cominciò a parlare della fabbrica dei suicidi, dove in pochi mesi undici operai, ventenni o anche più giovani, avevano preferito gettarsi da un ponte piuttosto che sopportare i ritmi della fabbrica, comunque meno brutali di quelli vissuti dai loro genitori ai tempi della Rivoluzione Culturale. Già, la Foxconn è un immenso complesso di stabilimenti, dodici in tutto, dove lavorano 471 mila operai che sfornano i prodotti più ambiti dell'età dell'elettronica: computer, fotocamere digitali, smartphone di tutte le marche, da Nokya a Motorola, e, non ultimi, i gioielli della Apple, dall'iPhone all'iPad, l'ultimo gioiello di Steve Jobs. Poco più in là, sempre a Shenzhen o verso Ovest, grazie agli incentivi di Stato per le zone depresse, sorgono gli impianti che sfornano i televisori a schermo piatto, i navigatori satellitari e gli altri gadget, più o meno indispensabili della nostra vita quotidiana.Già, il made in China che ieri ha celebrato il suo sorpasso nei confronti dei rivali giapponesi, collocando il paese del Drago al secondo posto tra le potenze dell'economia mondiale, non è fatto solo di pantaloni e magliette a basso costo piuttosto che di Barbie truccate con coloranti più o meno sospetti. Oppure di vasellame dalla composizione sospetta, camicette di seta che si scolorano al primo lavaggio o si scarpe e borsette finto Vuitton. Certo, c'è anche questo. Ma a fianco di quasi tutta l'elettronica di consumo che finisce nelle nostre case o nelle nostre tasche. E di tanti altri prodotti di qualità, magari frutto di collaborazioni e di brevetti in arrivo dall'Italia, che pure ha scoperto con grave ritardo rispetto ai tedeschi (non a caso l'economia che sta uscendo meglio dalla crisi grazie all'export) le opportunità del Drago che si è svegliato nel 1978, quando Deng Xiao Ping spiego al miliardo abbondante di contadini stremati dalla fame e dalla Rivoluzione culturale che « arricchirsi è rivoluzionario». Oggi la Cina è il primo mercato mondiale dell'auto, oltre che il primo consumatore di minerale di ferro, carbone, rame e di altre materie prime, metallifere e non che stanno alla base del successo di Paesi come il Brasile o l'Australia. Un Drago, insomma, che si nutre di frutti della terra e di viscere in arrivo dalle miniere del mondo e li trasforma, grazie alle sue migliaia e migliaia di fabbriche, in oggetti, ricchi e poveri che vanno a riempire le nostre case. Oggetti che spesso, per errore, vengono attribuiti all'economia americana o a quella di Paesi a noi più vicini, ma che in realtà sono frutto della determinazione di un popolo che, nonostante una crescita incredibile, novanta volte circa da quello storico 1978, resta povero: 4 mila dollari a testa, più o meno un settimo del reddito italiano, cioè più meno quello che è a disposizione di un cittadino dell'Albania o dell'Algeria. Ma, grazie al grande balzo, 300 milioni di persone sono uscite dalla morsa della fame, in attesa di fare il grande passo nella società dei consumi che già trionfa a Pechino e Shangai, la città più effervescente del pianeta. Per questo, dopo il sorpasso della Germania (anno 2007) e di quello, nel secondo trimestre, dell'economia del Giappone, già si scommette sulla data dell'aggancio con gli Stati Uniti.   I più prudenti parlano del 2025, The Wall Street Journal anticipa l'appuntamento al 2020. Al di là della data, però, una cosa mette tutti d'accordo: il sorpasso ci sarà, anche se l'economia di Pechino, dopo una corsa formidabile, in questi mesi sta rallentando così come vogliono i governanti di Pechino, preoccupati dalla bolla del mattone. Certo, resta la realtà dello sfruttamento e del malcontento operaio, come dimostrano i ragazzi di Foxconn che non si accontentano più di un posto nei dormitori aziendali o di un pasto sicuro in mensa. Ma questa è l'ultima scommessa dei capitalisti rossi della Tien An Men: un graduale aumento dei salari e, ( come chiedono a gran voce gli occidentali), del valore della moneta per favorire i consumi interni e gli acquisti di beni dall'estero. Speriamo che funzioni. Così nelle case cinesi ci sarà qualche oggetto made in Italy in più. Nel frattempo, fate una prova: guardate le etichette dei vostri abiti o le targhette delle vostre tv. E scoprirete che la Cina, oggi, è davvero vicina.  

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