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Mediterraneo, futuro dell'Ue

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C'èuna sorta di parallelismo storico tra la ripresa di funzione della politica oltre l'orizzonte degli egoismi nazionali e la necessità per l'Europa di definire un proprio riposizionamento nella dimensione politica ed economica globale. Il che fare, insomma, evoca molto il ruolo della politica. La politica sia nella dimensione interna che in quella internazionale. Anche perché, nelle sedi ove si assumono decisioni circa lo sviluppo globale, ritornano quali protagonisti gli Stati-nazione. Gianni De Michelis Certamente lo Stato nazionale pesa di più. Noi vediamo che i governi hanno un peso decisionale assolutamente superiore a qualche anno fa, ma forse è la dimensione chiusa dello Stato nazionale che oggi è improponibile nei termini di prima. Quando tu, Maurizio, dici del ritorno allo Stato-nazione, insomma, starei molto attento a specificare le diverse modalità in cui questo può avvenire. Perché il ritorno allo Stato nazione come se fossimo alla crisi del '29 o nel '45 fa pensare sempre a un sistema che si chiude nel suo territorio, si potenzia dall'interno per poi affrontare il mondo. Invece oggi i meccanismi sono cambiati, perché la globalizzazione li ha profondamente ristrutturati. (...) Sacconi Quindi, il tema per l'Italia è quello di sapersi collocare sempre nel gruppo dei Paesi guida, quelli – per intenderci – che in un'Unione di eguali sono più uguali degli altri. Per essere nel gruppo guida, l'Italia dev'essere autorevole, e per essere autorevole ha bisogno che il suo establishment abbia un «Progetto Nazione», in una dimensione europea e in una dimensione globale. E deve avere una «costituzione materiale» dietro il suo gruppo dirigente politico, una constituency, che non può non coinvolgere pienamente le borghesie più attive del Nord e, come vedremo, del Nordest, in quanto area interessata più di altre alle potenzialità del progetto. (...) Sono convinto che l'Italia non ha bisogno di un «partito del Nord», ma ha bisogno di un partito nazionale a prevalente guida nordista, che quindi sia capace di far muovere la locomotiva e allo stesso tempo di togliere i freni ai vagoni più lenti. De Michelis (...)L'Italia è a un bivio, che può essere tradotto così: o riesce a cogliere tutte le opportunità indotte dai percorsi d'uscita dalla crisi accelerando i necessari aggiustamenti interni, a partire dal capitale umano, o, in un contesto di emarginazione, essa corre concretamente il rischio di una spaccatura interna. (...) Sacconi L'Italia, quindi, vede messo in discussione il suo tradizionale posizionamento economico, quello di grande fornitore di manufatti per le economie forti come Usa e Germania. Mi sembra di capire che la tua idea è che solo costruendo con determinazione un nuovo spazio possiamo essere allo stesso tempo protagonisti dell'Europa e capaci di sviluppo. De Michelis Certo. In questa logica il Mezzogiorno rappresenta una grande opportunità, tanto per la sua posizione geo-politica quanto per le funzioni geo-economiche che potrebbero collegarsi a essa. Sacconi Insomma, tutto torna: l'interesse del Sud del Paese coincide con quello del Nord e l'Italia intera ha una prospettiva se tutta l'Europa avverte il bisogno di ricollocarsi per competere rispetto ai nuovi poli dello sviluppo. De Michelis Esatto. Nessuno, nemmeno la Germania, può pensare di cavarsela da solo. Nel mondo di domani – e in parte già di oggi – non ci sono più economie emergenti e mondo sviluppato. Sacconi Insomma l'Italia e l'Europa sono a un bivio tra declino e nuova espansione. Il combinato disposto delle tre aree economiche emerse che continueranno a diventare ancora più competitive e a espandersi, e il fatto che gli Stati Uniti sono costretti (...) a occupare anche loro una quota maggiore dell'economia globale, comportano per l'Europa un bivio inesorabile. Da un lato l'Europa tutta intera nella sua dimensione continentale si può progressivamente integrare proiettandosi nella dimensione mediterranea per alimentare una quarta economia emergente nell'unica parte del mondo (Mediterraneo, Medio Oriente, Golfo ecc.) ancora «libera». Con tutti i dividendi che ne possono derivare. (...) Si metterebbe infatti in moto una grande area di 400 milioni di persone, che in quindici anni diventeranno 500 milioni, i quali senza questa energia positiva si rivelerebbero fonte di squilibri, di tensioni, immigrazione clandestina, alimentando lo scenario peggiore. De Michelis (...) Sono necessari investimenti strategici nel nome di un disegno euro-mediterraneo condiviso nel quale si riconosca lealmente la convenienza di ciascuno. Sacconi Berlusconi è forse il leader più consapevole del disegno che stiamo descrivendo, come ha recentemente osservato un significativo articolo sul «Financial Times», nel quale ho letto una doppia valenza. Da un lato, finalmente, il riconoscimento della dimensione strategica della sua politica estera, dall'altro il segnale d'allarme che temo abbia voluto rivolgere soprattutto agli americani, con particolare riguardo ai dossier energetici. E, come abbiamo già detto, la prospettiva euro-mediterranea non sarà in alcun modo in alternativa agli interessi atlantici, in quanto, se ben governata, ha in sé una fortissima valenza stabilizzatrice delle tensioni medio-orientali, perché solo una forte prospettiva di sviluppo può includere l'Iran in una logica di rinuncia al conflitto e determinare la pace tra Israele e mondo arabo. Tutti i rapporti di Berlusconi, dalla Russia alle repubbliche asiatiche, ai Paesi del più prossimo Est europeo, alla Turchia, al Nordafrica, a Israele, allo stesso Iran, si muovono lungo una direttrice di sviluppo e di stabilità. Il limite della situazione attuale è che, pur muovendosi anche i tedeschi e i francesi, ciascuno per proprio conto, nella stessa direzione, non siamo ancora riusciti a produrre un'esplicita politica condivisa dell'Unione europea, che costituirebbe uno straordinario moltiplicatore delle iniziative dei singoli Paesi.

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