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È arrivato il momento dell'annuale programmazione del Governo sulla manovra economica per il prossimo triennio.

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Partendodalla constatazione delle difficoltà, inevitabili per la recessione profonda che ha investito il Paese. Questo Dpef infatti non nasconde (e come potrebbe?) il peggioramento in questo ultimo anno di aggregati e saldi di finanza pubblica. Frutto degli effetti spontanei della crisi e di quelli derivanti dalle misure varate dal Parlamento tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009 a tutela del risparmio e del sistema creditizio, a sostegno di redditi e consumi, per gli ammortizzatori sociali. Misure che insieme all'assestamento del bilancio 2009 e al decreto legge ora in discussione alla Camera, formano un «pacchetto» di interventi anticongiunturali che vale oltre 50 miliardi di euro. Altro che i "pannicelli caldi" evocati da "la Repubblica" qualche giorno fa. Andamenti che, però, sarebbe corretto distinguere tra quelli «nominali» e quelli «strutturali», cioè depurati dall'impatto della congiuntura. Senza questo fardello (-22% Pil per il 2009), ad esempio, l'indebitamento della PA passa dal 5,3% sul PIL al 3,1%, come correttamente, ma incidentalmente, ricordato nella relazione del Governatore della Banca d'Italia. Ma la crisi non è terminata. Tremonti lo sa bene e non ha evocato inattese prossime riprese. È necessario continuare a garantire supporto all'economia e coesione sociale. Ci attende poi un percorso programmatico per il rilancio dell'economia basato sull'investimento, pubblico e privato, sul recupero di risorse e di efficienza. Il tutto in un quadro di stabilità finanziaria. Già, perché le politiche anticrisi devono misurarsi con il peso e la sostenibilità del debito pubblico. «L'elevato peso del debito rappresenterà una delle eredità più gravi della crisi», ricordava l'altro giorno il Governatore Draghi. Che ha anche ricordato come le riforme in atto (come quella della PA) e quelle prossime in materia di pensioni o di federalismo fiscale, rendano più solida la politica economica impostata dal Governo. È forse l'ultimo Dpef scritto con le modalità che ne hanno accompagnato la stesura per oltre 20 anni. Un «libro dei sogni», come è già stato ben definito in passato, che è bene abbandonare in favore di una programmazione più autentica come quella prevista nella prossima riforma della contabilità pubblica, già licenziata dal Senato. *Senatrice Pdl

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